lunedì 10 ottobre 2011
A confronto a Gorizia dodici Paesi, dalla Bulgaria alla Turchia. L’obiettivo: creare una rete europea di associazioni che abbatta i confini «senza imporre un modello unico».
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Le buone pratiche del  olontariato passano attraverso un nuovo welfare. Il welfare di comunità, che nasce e cresce dal basso. E che si trasforma, ogni giorno di più, nella sussidiarità. Anche come modo di affrontare i problemi dati dalla crisi. E se già oggi i 100 milioni di volontari contribuiscono al 5% del Pil - come ricorda Joachim Ott,  dirigente della Commissione Ue che si occupa del settore -, il loro apporto può addirittura aumentare attraverso il nuovo welfare. Se ne sta parlando, anche con vivaci discussioni, nella conferenza internazionale per l’Anno europeo del Volontariato, che si concluderà oggi a Gorizia, organizzata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dal Centro europeo del volontariato (Cevi), con una particolare attenzione all’area balcanica. Ben 12 i Paesi presenti, dalla Bulgaria alla Turchia. «Non è casuale - fa notare Roberto Molinaro, assessore regionale del Friuli-Venezia Giulia - che proprio qui a Gorizia, città simbolo dell’abbattimento dei confini e della collaborazione tra le popolazioni d’Europa, si tenti di creare una rete europea delle associazioni di volontariato, con un passaggio di fatto obbligato: i servizi alla persona, alla famiglia, quindi alla comunità». Sono già 34 le reti nazionali, in altrettanti Paesi dell’Ue ma anche di prossima adesione, per far sistema nel popolo della solidarietà. Il Cev, da una parte, il Movi dall’altra, intendono accompagnare questo movimento verso un consolidamento. E, se possibile, anche verso qualche forma di regolamentazione, per proteggerlo. Ma a determinate condizioni, come ha evidenziato il dibattito di questi giorni. «Non è facile far emergere, nei Paesi di recente emersione della democrazia, la cultura della solidarietà, specie quella intergenerazionale, e della gratuità - ammette Franco Bagnarol, presidente nazionale del Movi, dopo le prime discussioni al Palazzo della cultura friulana, a Gorizia -. Siamo in presenza di giovani alla ricerca di un’occupazione dignitosa, per cui nei diversi interventi sentiamo echeggiare l’opportunità del lavoro volontario come preparazione a quello professionale, definitivo. Ma il lavoro in nero è tutt’altro non è un efficace presupposto per un welfare virtuoso, fondato sulla responsabilità e proiettato verso la sussidiarietà. Specie quando si opera nel settore dell’assistenza sociale, del sostegno alla persona e alla comunità».E la necessità di far rete, anzitutto attraverso sempre più frequenti occasioni di conoscenza reciproca, («direi pure di contaminazione», puntualizza Bagnarol), l’ammette anche Martijn Paker, direttore del Cev Ue, perché la disparità di valorizzazione del volontariato è a livelli ancora troppo alti. Addirittura all’interno dei diversi Paesi. Tanto che, per esemplificare, è difficile sul piano normativo che un anziano di Gorizia possa svolgere servizio solidaristico al di là del confine, e che uno studente di Nova Gorica, nella vicinissima Slovenia, possa fare altrettanto nell’Isontino. E la diversità - soprattutto per quanto riguarda l’approccio al welfare, si pensi soltanto alle buone pratiche per la tutela della vita - è addirittura enorme tra l’Europa e il Sud del Mediterraneo. Acquista, dunque, ancora più valore l’iniziativa del Movi di organizzare il Meeting dei giovani del 22 Paesi del Bacino del Mediterraneo, dal 27 al 31 ottobre a Cosenza, per cercare di affascinarli intorno ad un progetto di nuovo welfare. «Ci vuole pazienza - ammette l’assessore Molinaro -. Il Nordest ha cominciato il contagio all’Est con la Comunità di Alpe Adria, allargata all’Austria, alla Slovenia e all’Ungheria, ancora nel 1978. Solo da poco tempo stiamo comprendendo che se l’Europa vuole raggiungere gli obiettivi che si è data per il 2020, cioè una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, non può prescindere da quel capitale sociale e umano che il volontariato rappresenta». E, in ogni caso, bisogna avere la prudenza - secondo quanto raccomanda Ott, di non imporre, in ambito europeo, un modello unico di volontariato, ma di valorizzare ogni, specifica esperienza. Nella sua autonomia. Come dire, la fatica di crescere insieme. Di strada, però, ne deve fare anche la vecchia Europa, se è vero che fra i parametri per l’adesione dell’area balcanica alla nuova Ue, quella dei 27 Paesi, «non ha inserito quello del volontariato e della sussidiarietà - come rileva criticamente Igor Milosevic, che in Montenegro si sta occupando del nascente associazionismo -, quasi fossero realtà ininfluenti».
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