(Foto Comunità Papa Giovanni XXIII)
La prima a scendere la scaletta dell'aereo è stata una giovane famiglia eritrea. Papà, mamma e una neonata di appena 12 giorni, Solinia, nata sul suolo libico a ridosso della data di partenza. I due sposi, con lei in attesa della piccola, sono stati per 8 mesi rinchiusi nelle carceri libiche. Una gravidanza sofferta, portata avanti, in una cella senza luce e senza finestre, dalla giovane eritrea con fede e coraggio, lontano dal marito (rinchiuso nel braccio riservato agli uomini).
Suo marito non è stato meglio. Alla domanda su cosa gli sia accaduto dentro quella prigione, abbassa lo sguardo e scuote la testa: "La Libia è brutta", dice soltanto. Entrambi coccolano la piccola Solinia, il loro tesoro, venuta alla luce quando erano già fuori da quel lager, affidati alle cure del personale dell'Acnur della struttura di Tripoli, aperta dal 4 dicembre.
Il "volo umanitario" che li ha portati in Italia è atterrato alle quattro di pomeriggio su una pista dell'aeroporto militare di Pratica di Mare, nei pressi di Roma, con un paio d'ore di ritardo rispetto all'orario ipotizzato. Stavolta, a differenza del primo aereo giunto dal Niger a metà novembre, il volo è partito direttamente da Tripoli. A bordo, 103 richiedenti asilo (il doppio rispetto ai 51 arrivati la volta scorsa) originari per lo più dello Yemen, del Sudan e del Corno d'Africa, dilaniati da conflitti.
La famigliola eritrea verrà ospitata, insieme ad altri 49 profughi, dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. Saranno suddivisi in piccoli gruppi in alcune delle 201 case della realtà fondata da don Oreste Benzi (12 case si trovano a Rimini, 5 in provincia di Ravenna e 34 in provincia di Massa-Carrara). Gli altri richiedenti asilo dovrebbero trovare posto in altre realtà d'accoglienza nel territorio nazionale.
"Con questo corridoio umanitario abbiamo salvato interi nuclei familiari: donne, uomini e bambini provenienti da Sudan, Etiopia, Eritrea e Yemen strappate dalle prigioni libiche" spiega Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità. Adesso, aggiunge,"saranno accolti nelle nostre case dove potranno ricevere il sostegno necessario per superare i traumi subiti ed iniziare una nuova vita".
Gli operatori della Papa Giovanni XXIII lavoreranno "per l'integrazione di queste famiglie, inserendo i bimbi a scuola e cercando un lavoro per loro". Non è semplice, osserva Ramonda, "ma non si può parlare di vera accoglienza, senza una reale integrazione".
A metà novembre, accogliendo dopo l'atterraggio il precedente gruppo di richiedenti asilo provenienti dal Niger e per lo più di nazionalità sudanese, etiope e somala (fra loro, c'erano diversi nuclei familiari e alcuni disabili), il ministro dell'Interno Matteo Salvini aveva annunciato che ci sarebbero stati presto altri arrivi: "Intendiamo spalancare le porte dell'Italia a chi scappa dalla guerra - aveva detto il ministro -. L'unico arrivo possibile per donne e bambini disabili è in aeroplano, i barconi no, sono decisi dai criminali che comprano armi e droga".