«Basta contare le udienze già fissate per capire la strategia dei giudici di Milano...». Silvio Berlusconi cammina avanti e indietro nel grande salone di palazzo Grazioli e, sottovoce, ripete un serie di date collegandole a un processo... «8 febbraio Mediaset, 5 marzo Mediatrade, 11 marzo Mills, 6 aprile Ruby... Tutto è drammaticamente chiaro: vogliono trasformare il Paese in una gigantesca aula di giustizia con un solo barbaro obiettivo: costringermi a difendermi e così impedirmi di governare. Ecco la cosa più terribile: questi pm vogliono frenare l’azione di governo». Prende fiato il premier e, all’improvviso, disegna anche un secondo scenario. Nuovo. Anche inatteso. «I pm fissano dieci udienze e se la situazione dovesse precipitare arriverei al voto anticipato debole, vulnerabile...». Sono ore segnate dall’amarezza e dalla tensione. Il capo dell’esecutivo non può non ragionare su tutte le variabili. Non può non prendere in considerazione l’ipotesi di elezioni subito. Non può non valutare numeri e ipotetici schieramenti. Ma, ancora una volta, la scelta finale è andare dritto: «Non sono riusciti a far cadere il governo in Parlamento e ora ci stanno provano seguendo una via extraparlamentare... Ma il clima non cambia, la mia determinazione ad andare avanti e a fare le riforme non cambia. E a una magistratura che punta solo a sovvertire la volontà popolare rispondo restando concentrato sull’azione di governo». Il premier sfoglia l’agenda. Riflette sugli appuntamenti già fissati: la sera a villa Madama con il presidente russo Dimitrij Medvedev, prima gli incontri a Palazzo Chigi con i rappresentanti delle piccole imprese e la conferenza stampa conclusiva con Giulio Tremonti, poi l’emergenza immigrazione... «C’è da lavorare. Solo da lavorare», ripete Berlusconi quando si è già fatto buio e si prova a riavvolgere il film della giornata. Si parte dall’inizio. Le ore che precedono l’annuncio del gip milanese sono segnate da dieci parole del capo dello Stato. «Tanto frastuono e motivi di ansietà...», ripete Napolitano. In quelle ore Berlusconi è con Maroni a Mineo, un centro del catanese nel catanese, per affrontare il nodo immigrazione. È lì che arriva la decisione del gip: sono le 11 e sessanta minuti dopo è fissata una conferenza stampa a Catania. Gianni Letta capisce subito i rischi. Chiama il premier. Gli chiede di tornare, consapevole che un "faccia a faccia" con la stampa potrebbe trasformarsi in un nuovo atto d’accusa contro «le toghe politicizzate» e che il rischio vero sarebbe un nuovo incidente con il Quirinale. Berlusconi, questa volta, ascolta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Cancella la conferenza stampa. Rientra a Roma e si chiude a Palazzo Grazioli dove con Alfano e Ghedini prova a valutare la strategia. Non c’è un percorso chiaro. Non c’è una soluzione decisa. Ci sono soltanto una serie di ipotesi ancora vaghe. Si valuta ogni dettaglio. Si studia la biografia delle tre donne del collegio giudicante. Ghedini sembra pessimista. Anche sui tempi. E a tarda sera una voce rimbalza da Palazzo Chigi a Palazzo Grazioli: senza una contromossa efficace la prima sentenza potrebbe arrivare già a maggio. Un lampo attraversa il volto del premier che sottovoce ripete una parola: «Voto. Già, vogliono solo trascinarmi al voto. Incuranti del male che farebbero al paese». Una pausa precede il nuovo attacco ai pm. «Vogliono mandare all’opposizione chi ha vinto le elezioni, ma non l’avranno vinta. Io resisto, io ho la pelle dura».Sono ore cariche di dubbi, di interrogativi senza risposta. Il Pdl si schiera con il premier. Il ministro Rotondi "chiama" il Colle: «Mai nella storia d’Italia vi è stato un uso della giustizia così finalizzato alla lotta politica. È inevitabile un intervento del Quirinale». E ancora: «Non tiro per la giacca il Capo dello Stato, ma solo lui che ha combattuto il fascismo può fiutare l’aria che tira». Berlusconi legge le parole del suo ministro. Annuisce. Ma quando parla sembra privo di fiducia: «Napolitano ci ha provato a chiedere un clima nuovo, un abbassamento del livello di scontro... Ma avete visto le risposte? Sono davvero senza parole. E fatico a immaginare il mio Paese in mano a una sinistra capace solo di tifare per un pugno di pm che lavorano per cancellare la volontà popolare».