Una manifestazione contro la violenza sulle donne - Ansa
Da imprenditore del settore farmaceutico a violentatore seriale e con metodi particolarmente subdoli: in almeno un caso ha attirato una studentessa universitaria di 21 anni per uno stage lavorativo, prima nell'azienda deserta, poi a casa sua, in una zona di pregio di Milano. L'ha sedata con delle dosi ingenti di benzodiazepine ed ha abusato di lei, fotografando la vittima mentre le usava violenza. La parabola di Antonio di Fazio, 50 anni, è stata interrotta dai carabinieri della compagnia Milano Porta Monforte e del Nucleo operativo che lo hanno portato in carcere con le accuse di violenza sessuale, sequestro di persona e lesioni aggravate perché la dose di Bromazepan fatta assumere alla giovane, prima con un caffè, poi con del succo d'arancia, era di più del triplo di una dose giornaliera, tanto che l'aggiunto Letizia Mannella e la pm Alessia Menegazzo nel capo d'imputazione scrivono di "intossicazione con avvelenamento". La ragazza che si è trovata a casa sua la mattina del 27 marzo, totalmente priva di forze e completamente stordita non è la sola che l'imprenditore ha attirato nella trappola, tanto che il gip Chiara Valori sottolinea come nel telefonino di Di Fazio siano state scoperte fotografie di altre ragazze, "dello stesso tenore" di quelle che riprendevano la giovane che ha denunciato, "scattate dall'ottobre 2020". Una galleria fotografica, annota il giudice, "degna di un novello Barbablù".
Antonella Veltri, Rete D.i.Re., Donne in Rete contro la violenza
Alla violenza non ci si fa mai l’abitudine, e Antonella Veltri, che presiede la Rete D.i.Re., Donne in Rete contro la violenza (82 centri antiviolenza in tutta Italia) di fronte alla storiaccia milanese è attonita.«È ancora una volta una questione di disparità di potere: l’uomo che ha in mano il futuro di una giovane e quindi pensa di poterne disporne».
Anche a voi arrivano segnalazioni di questo tipo?
Sì, certo, vediamo molte ragazze che denunciano pressioni e maltrattamenti da parte di persone che abusano del proprio ruolo. E il caso di Milano è l’ennesima dimostrazione che la violenza sulle donne si gioca su più piani: familiare e all’interno di relazioni di potere.
Sul telefonino del manager milanese, a quanto pare, c’erano le foto di diverse altre ragazze vittime di abusi. È possibile che solo l’ultima abbia denunciato. Lei nota una certa difficoltà a rivolgersi alla polizia?
Sì, c’è un problema di rapporto con la giustizia. È possibile che le altre ragazze non abbiano sporto denuncia per evitare di subire un altro processo nelle aule di tribunale. È un’ipotesi, ma la realtà è che assistiamo troppo spesso a una messa in discussione della parole delle donne.
C’è il tema ricorrente di foto e video. La donna abusata diventa un trofeo. Perché?
Le foto, i video sono un’ulteriore esibizione di potere. E di una fortissima cultura dell’impunità.
La violenza sulle donne è anche un prodotto del cosiddetto gender gap, cioè del fatto che in Italia le donne sono spesso ai margini della vita lavorativa e familiare?
Le origini della violenza contro le donne risiedono proprio nella disparità di potere tra uomo e donna. Finché non si colmerà questo gap, le donne saranno sempre nelle condizioni di dover fare qualcosa in più per dimostrare il proprio valore. Il gap si riflette anche nella subalternità e soggezione che le donne troppo spesso hanno rispetto al maschile, sia in famiglia sia nell’ambiente di lavoro.
In questo anno di pandemia cosa è successo?
C’è stato un aumento generale delle violenze a causa delle chiusure forzate. In linea con i dati Istat, abbiamo registrato un aumento del 71% delle donne seguire dalle nostre operatrici nei soli mesi di marzo e aprile 2020. Abbiamo visto anche che si è abbassata l’età media di chi chiama, e questo ci lascia sperare che si faccia strada una maggiore consapevolezza da parte delle donne più giovani di fronte a segnali premonitori di violenza nelle loro relazioni sentimentali o lavorative.