mercoledì 20 luglio 2022
Estremo tentativo, come nel ’94: si punta a lasciare in carica il governo per gli impegni urgenti. La tela (infruttuosa) di Mattarella. La data per le urne potrebbe essere il 2 ottobre
Verso il voto con il «modello Ciampi»

Ansa

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Stavolta non è bastato nemmeno Sergio Mattarella. Non sarà l’esito inglorioso del Senato di ieri la parola fine del governo Draghi, ma per scelta – a quanto si sa – del premier stesso, concordata col Quirinale, ci sarà un dibattito anche alla Camera, stamattina, a sancire le definitive dimissioni del premier, ormai scontate. Questo consentirà di completare la parlamentarizzazione della crisi, dando nel frattempo al Quirinale qualche ora in più per studiare una qualche via d’uscita a una delle crisi più anomale, delicate, e drammatiche, della storia repubblicana. Al momento l’unica strada rimasta sembra la corsa veloce verso il voto anticipato, c’è anche una data accreditata, il 2 ottobre, meno probabile il 25 settembre.

Ma in queste ore si sta tentando di offrire un paracadute istituzionale al governo dimissionario, tecnicamente non ancora sfiduciato. Potrebbe andare avanti, portando a termine almeno i provvedimenti più urgenti e necessari, soprattutto in relazione al Pnrr. Si parla persino di una legge di Bilancio che potrebbe essere messa almeno in discussione da settembre. Si fa riferimento al precedente, del gennaio 1994, di un altro ex Governatore di Bankitalia chiamato a Palazzo Chigi, Carlo Azeglio Ciampi, che rassegnò le dimissioni, ma esse furono respinte da Scalfaro. Tuttavia una prospettiva del genere richiede un gentlement agreement fra forze politiche e premier di cui non si sono intraviste avvisaglie, ieri, al Senato, mentre si teme persino che la Lega possa decidere di ritirare i ministri.

Non si esclude nemmeno che Mattarella, come altre volte, possa aspettare domani pomeriggio, approfittando della chiusura dei mercati di fine settimana, per annunciare le sue determinazioni. Perché, ai suoi occhi la tutela dei risparmi degli italiani, è obiettivo primario, pienamente condiviso - naturalmente - dall’ex banchiere centrale chiamato a Palazzo Chigi, ormai disarcionato.

Chissà, sotto sotto, anche chi ha tirato la corda in questi giorni ha pensato che sul filo di lana una soluzione si sarebbe trovata, anzi l’avrebbe trovata, come altre volte, Mattarella, con incredibili colpi di scena a un passo dal salto del buio del voto anticipato. Il capo dello Stato si è speso anche ieri, tenendosi informato, con discrezione e apprensione, col Senato, informato soprattutto dal ministro a lui più vicino, Lorenzo Guerini, rendendosi disponibile anche a sentire i leader fino all’ultimo, ma senza esito.

Che le cose si andassero mettendo male Mattarella lo aveva ben chiaro fin dalla sua ultima visita in Mozambico e Zambia, in cui c’era già la percezione che - anche agli occhi di Draghi - l’irrigidimento della Lega si stesse pericolosamente assommando alle levate di scudi di un M5s sempre più dilaniato al suo interno. Mattarella ha lavorato su tre fronti. Sul versante M5s ce l’ha messa tutta per favorire un incontro fra i due contendenti, premier ed ex premier. L’incontro è poi avvenuto, ma con scarsi esiti. Sul versante Lega/Forza Italia c’era fiducia che il legame con i ceti produttivi, e i rapporti di Fi col Ppe, potessero portare a più miti consigli. Ma niente. Il terzo livello su cui il Quirinale si è speso, pur condividendo in pieno la sua delusione, è a smussare l’irritazione presidente del Consiglio, per cercare in tutti i modi di non fare precipitare la crisi. La spinta venuta direttamente dal Paese - enti locali, ceti produttivi associazionismo - gli ha dato una mano, convincendo Draghi a bere fino all’ultimo l’amaro calice. Con poca convinzione, in pieno disallineamento con i toni della sua replica, il premier ha accettato di auto-sottoporsi al tentativo estremo della mozione di Pier Ferdinando Casini, messa in campo nel disperato tentativo di trovare una via d’uscita. Che nessuno dei contendenti voleva, evidentemente. E per Mattarella, deluso come non mai, arriva ora la sfida più difficile, dopo averne già viste tante.

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