mercoledì 19 marzo 2025
Mario Leone, direttore dell'Istituto studi Altiero Spinelli: tre intellettuali di area liberale, socialista e comunista superarono le ideologie nazionali che non avevano impedito guerre e dittature
Mario Leone, direttore dell’Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli

Mario Leone, direttore dell’Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli - -

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Tre precisazioni. Per capire il valore del Manifesto di Ventotene bisogna collocarne la nascita in una precisa fase storica. Poi analizzare il processo che ha portato gli autori a superare le culture politiche di provenienza. Infine evitare estrapolazioni chirurgiche che travisano lo spirito della Magna Charta d'Europa. Sono le tre puntualizzazioni che Mario Leone, direttore dell’Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli, tiene a sottolineare a proposito della polemica scatenata dalle citazioni fatte da Giorgia Meloni del documento fondativo dell'ideale europeista.

Quando nasce e in che contesto storico il Manifesto di Ventotene?

Il Manifesto viene ideato in un momento determinante della II Guerra mondiale. Quello della conquista di gran parte dell’Europa da parte del nazifascismo. Nel 1941 i regimi totalitari sono all’apice della loro espansione. Proprio allora tre menti, quelle di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi, confinati a Ventotene dal regime fascista, convergono su un’idea rivoluzionaria, il superamento degli stati nazionali che non hanno saputo impedire lo scoppio di due guerre mondiali e l’instaurarsi di regimi totalitari.

Tre uomini che vengono da tradizioni politiche e culturali diverse ma convergono verso un unico traguardo.

Spinelli è un ex comunista, critico verso l’ideologia, tanto da venire espulso nel 1937 da Pietro Secchia. Viene dalla militanza antifascista nell’organizzazione clandestina del partito, è condannato a 16 anni e 8 mesi di reclusione dal Tribunale speciale. Ernesto Rossi è un socialista liberale allievo di Gaetano Salvemini, è capo di Giustizia e Libertà. Eugenio Colorni è un insegnante, scienziato della politica, ebreo, ha militato nelle cellule socialiste. Quando si incontrano a Ventotene nel 1939 capiscono la necessità di andare oltre le ideologie. Oltre gli steccati che potevano condizionarli nella ricerca di strumenti idonei a limitare quel Leviatano rappresentato dagli Stati nazionali e dal nazionalismo che aveva portato a due guerre mondiali.

Quindi era questo l’obiettivo del loro sforzo di ingegneria politica?

Sì, quello di garantire un sistema duraturo di pace. E cioè, kantianamente parlando, non di un semplice intervallo tra una guerra e l’altra, ma un sistema giuridico permanente, in grado di garantire una pace perpetua. È stato un momento di sintesi, grazie al quale si è potuto superare le tare provenienti dalle loro tradizioni politiche pregresse. Rossi era probabilmente il più strutturato dal punto di vista scientifico. Spinelli aveva una grande cultura, maturata in modo dinamico approfondendo studi in lingua originale, che lo aveva portato presto a condannare i metodi e la politica della Russia di Stalin. Fu molto criticato dai suoi compagni e fu espulso dalla cellula comunista di Ponza. Era alla ricerca della sua cittadella democratica che troverà grazie a Rossi che aveva una corrispondenza con Luigi Einaudi. Colui, cioè, che gli donerà un libretto dimenticato, la Critica alla Società delle Nazioni, per un salto federale sovranazionale.

C'è in qualche modo, dunque, anche Einaudi nel pensiero europeista?

L’incipit del Manifesto di Ventotene è dato proprio dalle indicazioni che venivano dagli scritti di Einaudi. Il federalismo economico di stampo britannico, la riflessione politico culturale di Einaudi, la filosofia kantiana, la tradizione statunitense di primo stato federale della storia. Saranno questi i fattori racchiusi nel Manifesto di Ventotene.

È questa sintesi alta e lungimirante che permette al Manifesto di essere ancora oggi il punto di vista ideale e valoriale dell’Europa?

Sì, perché supera le ideologie e mette in evidenza che la crisi della democrazia ha purtroppo ceduto il passo al fascismo e al nazismo. E la critica di Spinelli al comunismo è alla politica improntata alla lotta di classe. Spinelli pone una linea di divisione tra progressisti e reazionari. Per lui sono progressisti coloro che vogliono la creazione di uno stato internazionale nuovo, basato su elementi federali. Reazionari coloro che invece, egoisticamente, continuano a perseguire lo stato nazionale, con tutti i suoi difetti che hanno condotto a due guerre mondiali. Gli autori del Manifesto avevano capito che serviva un nuovo governo dell’Europa, bisognava creare un ambiente sovranazionale, un potere nuovo all’interno del quale si sarebbero dovute sviluppare le politiche dei diversi partiti.

Citare passaggi decontestualizzati rischia allora di travisarne lo spirito?

Asolutamente sì. Come il punto citato sul “partito rivoluzionario”, che invece va completato. Perché nel capoverso precedente Spinelli si riferisce alla necessità di creare “un vero movimento rivoluzionario”, criticando in modo feroce le vecchie impostazioni politiche dei regimi democratici e comunisti, dimostratisi incapaci di garantire la pace. Spinelli sottolinea la necessità che tutte le forze democratiche debbano collaborare per disgregare il totalitarismo. E nel paragrafo successivo usa il sinonimo di “partito rivoluzionario”, cioè quella parte importante delle figure democratiche illuminate, che accantonano le tendenze egoistiche degli stati nazionali che hanno alterato il concetto di patria. Solo in una lettura complessiva si comprende l’intenzione degli autori.

Come il passaggio scritto da Ernesto Rossi sulla necessità di intervenire sul controllo della proprietà privata.

Esatto. Un diritto che può essere limitato laddove esistano necessità pubbliche. Lo dice la nostra Costituzione che nasce da quel pensiero. La proprietà privata è riconosciuta e garantita, ma può essere espropriata nei casi previsti dalla legge, quando esistono motivi di interesse generale. Non è, insomma, un valore assoluto. Per costruire un’autostrada, ad esempio, si possono espropriare, pagandoli, terreni privati. La decontestualizzazione di passaggi e l’estrapolazione di frasi singole non dà la cifra esatta del contenuto di questo saggio politico.

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