sabato 23 dicembre 2023
Il fatto che il ministro dica che avrebbe approvato il Mef è apprezzabile per la trasparenza e la sincerità, però pone il titolare dell'economia in una condizione anomala.
Il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti

Il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti - Ansa

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La dichiarazione di Giancarlo Giorgetti secondo la quale, da ministro dell’economia, era interessato all’approvazione della ratifica del Mes va apprezzata per la sincerità e la trasparenza nonché per lo stesso riferimento, sia pur generico, alle considerazioni politiche che avrebbero invece portato alla bocciatura. Al tempo stesso, però, mettono in luce una situazione per nulla normale in cui il ministro viene a trovarsi. Avrebbe voluto, ma non ha potuto. C’è da chiedersi: sarebbe, questo, un discorso che potrebbe fare tranquillamente ai suoi colleghi dell’Ecofin? Non dimostrerebbe così, accanto all’apprezzabile onestà intellettuale - un requisito non proprio comune - di non avere in pugno una situazione, per quanto intricata, che, però, rientra nella sua competenza? Non avvertirebbe un disagio? Pensate, ad esempio, che un Ciampi, ministro del Tesoro ai tempi, si sarebbe potuto trovare in tale condizione? Il fatto è che ora si paga, nel caos e nelle contraddizioni, la mancanza in tutta questa vicenda di una reale controproposta del governo, pur prospettabile senza intaccare il testo del Trattato sottoposto a ratifica. Oggi l’esecutivo si troverebbe in una condizione migliore, non esposto alle critiche che provengono dall’estero. In effetti, la principale motivazione della riforma del Meccanismo sta nella funzione di “paracadute” del Fondo unico di risoluzione delle banche in crisi, per l’eventualità che esso risulti inadeguato agli interventi necessari. Ora, a parte l’esigenza di un chiarimento sulle ragioni della non congruità, poichè il Mes assume questo ruolo sarebbe stato logico che si chiedesse una revisione della inadeguata normativa sul “salvataggio” delle banche che toccasse pure contigue discipline comunitarie - per esempio, escludendo che i depositi bancari possano concorrere alle perdite di una banca - e che comunque si completasse finalmente l’Unione bancaria, che è in attesa di essere realizzata da circa 9 anni: l’assicurazione europea dei depositi. Poi, sarebbe stato logico che il Mes rientrasse pienamente nel diritto europeo e sotto la vigilanza dell’Europarlamento. Poichè questa revisione non è stata promossa per tempo, allora sarebbe stato ( e tuttora lo sarebbe) importante valutare la praticabilità di una linea che, ferma restando la ratifica del Trattato , in un “addendum” sancisse un impegno di tutti i partner europei a promuovere e concretare le modifiche in questione entro un determinato periodo. Allo stesso tempo, si sarebbe potuto decidere in sede parlamentare l’adozione della proposta del senatore Monti, cioè la previsione di un quorum più alto delle Camere per poter ricorrere, ad opera dell’Italia, ai fondi del Mes. Tutto ciò avrebbe consentito di fare a meno di motivazioni bizzarre a sostegno del “no”, quale quella di usare denari italiani per salvare banche straniere. Abbiamo visto cosa significhi la deflagrazione di una crisi europea (dopo quella dei “ sub-prime”) con banche prima ritenute in buono stato, poi cadute in crisi. Ma c’è di più: chi potrebbe mai ritenere che pesanti difficoltà che colpissero istituti tedeschi - non banchette - non si estenderebbero, per l’”effetto domino”, anche all’intera eurozona e pure a banche italiane? Ritenere di essere immuni da rischi è pericoloso. Si dovrebbe evitare di sostenere concetti privi di razionalità che si trasformano, poi, in un boomerang. Il Mes merita, dunque, alcuni emendamenti, ma questi oggi potrebbero ancora far parte di un impegno aggiuntivo che bilanci le diverse posizioni, come del resto èproprio della natura degli accordi internazionali.


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