venerdì 7 ottobre 2011
Stati vegetativi, l’impegno di una famiglia di Pordenone. Dal Comune il terreno su cui costruire l’avveniristica struttura. Sarebbe la seconda in Italia. Ora la parola a Tondo.
COMMENTA E CONDIVIDI
Pordenone, estremo Nord Est: è qui che presto potrebbe sorgere la seconda Casa dei Risvegli d’Italia, simile a quella (finora ineguagliata) di Bologna. Un sogno verso il quale un padre di famiglia, deciso ad andare fino in fondo, si è messo in cammino: in cammino nell’intricata selva della burocrazia. Ma anche per Santiago de Compostela, pellegrino in preghiera...SPIANDO SEGNALI DI VITASgrana i due grandi occhi azzurri e stringe le labbra. Poi torna a fissare lontano un orizzonte che non c’è, o che forse noi non vediamo. Siede sulla carrozzina, Alessandro, 26 anni, e in braccio gli hanno messo Matteo, nato da sua sorella venti giorni fa. Se ne accorge? Sente sulle sue ginocchia quel fagottino di vita? Mistero. Per noi, ma non per sua mamma Loredana e suo papà Giancarlo, che dal Ferragosto del 2005 scrutano ogni suo più piccolo gesto: «Ale c’è, ha i suoi tempi e i suoi modi di reazione ma capisce, solo che non sa più comunicare». È uno dei circa tremila ragazzi italiani che la scienza medica prova a definire "stati vegetativi" ma di cui non sa nulla, al punto che la European Task Force on Disorders of Consciousness (il fior fiore degli specialisti) ha adottato il nuovo nome di "sindrome della veglia arelazionale", intendendo che in ciascuno di loro permane uno stato di coscienza anche minima, e solo chi li osserva tutti i giorni può accorgersene. Le mamme, appunto. E i papà tutt’al più: «Mia sorella è morta in modo drammatico qualche mese fa - testimonia Giancarlo Pivetta, 48 anni, dirigente -. Nostro figlio era molto affezionato alla zia e, alla notizia, dai suoi occhi sono scese lacrime di dolore». UN MISTERO PER LA SCIENZALa camera di Ale è tappezzata con le foto del "prima". Mostrano un ventenne grintoso, i lineamenti perfetti come oggi, un sorriso sicuro mentre abbraccia la ragazza, la fascia sulla fronte e i capelli al vento. Pioveva a Pordenone la notte di Ferragosto del 2005 (Alessandro aveva vent’anni) e l’amico francese alla guida era assonnato. «Il palo di cemento è entrato nell’abitacolo dalla parte dell’autista», racconta Loredana, 49 anni, ex operaia, oggi «mamma e infermiera 24 ore al giorno». Destino ha voluto, però, che il sedile del conducente scivolasse indietro, lasciando passare il pilone fino all’impatto con la fronte di Alessandro. «L’amico ha ripreso a camminare solo un anno dopo, Ale non si è più risvegliato, per ora...». Da quell’alba, l’angoscia fuori dalla sala operatoria, la preghiera, Ale che ce l’ha fatta ma che «resterà sempre senza coscienza» (come dicono spesso i medici, inermi di fronte a uno dei più fitti misteri della scienza). Poi il lungo cammino della speranza, i primi mesi alla Casa dei Risvegli "Luca De Nigris" di Bologna, infine a casa con i suoi cari ma anche gli amici, quelli che non mollano. «Quando esce con loro e fa le ore piccole, torna a casa sveglio come un grillo – ride Giancarlo – se invece sta con noi si annoia e si addormenta. È la prova che percepisce ciò che avviene, che è prigioniero del suo corpo ma è cosciente». Ecco perché lo portano allo stadio, al cinema, in montagna, al mare. Gli esami continuano a dire che "le vie nervose dalla periferia al cervello" sono interrotte, in pratica che non sente nulla, ma se la madre gli fa il solletico sotto i piedi, Ale arriccia le dita infastidito... Misteri, appunto, e una sfida per la scienza: «A giugno i neurologi dell’università di Udine hanno scoperto che solo durante il sonno la sua attività cerebrale è quella di una persona normale. È la prima volta che gli si presenta un caso simile, ancora tutto da studiare».«MAI ARRENDERSI»Le foto del "dopo" parlano chiaro: Alessandro quando era alla Casa dei Risvegli di Bologna si era alzato in piedi. «Poi però a casa ci devi tornare e occorrerebbe che la riabilitazione proseguisse intensa come lì, dove aveva tre o quattro ore al giorno di fisioterapia. Invece qui l’Asl ci ha concesso tre sedute a settimana, così Ale è regredito e i suoi tendini si sono accorciati, impossibile rimetterlo in piedi senza operarlo», spiegano i genitori. I fisioterapisti, poi, sono bravi, ma non certo specializzati in ciò di cui ha bisogno uno "stato di veglia arelazionale": «Fanno attività di "mantenimento", ma in questi casi cosa c’è da mantenere? Invece c’è da recuperare funzioni, emozioni, sensibilità, movimenti... Occorre una competenza altamente mirata che in Italia pochissimi hanno». Nel 2009 è nata l’"Associazione Amici di Ale", che in collaborazione con la Casa dei Risvegli di Bologna ha formato dieci volontari, ora a disposizione della Asl di Pordenone per tutte le famiglie con un familiare in "stato vegetativo". UNA CASA DEI RISVEGLII neurologi lo chiamano "effetto mamma", ed è il miracolo quotidiano dei miglioramenti che si hanno quando il paziente è accudito in casa. Solo un addestramento particolarissimo però può insegnare ai genitori e ai volontari il percorso da seguire. «Noi lo abbiamo imparato a Bologna, ma lì i posti sono dieci per tutta Italia. Il nostro obiettivo è aprire una Casa dei Risvegli qui in Friuli», dove almeno un centinaio di ragazzi sono come Ale. Il Comune ha già donato il terreno, 5.000 metri quadri, la Regione ha promesso di fare il resto. «Abbiamo avuto già vari incontri – fa il punto Pivetta –. Il presidente della Regione Renzo Tondo e il consigliere regionale Franco Dal Mas ci hanno dato buone speranze. A luglio ci hanno chiesto le ultime carte, ormai dovremmo esserci». Il progetto è pronto, firmato (gratuitamente) da Arturo Bosetto, noto a Pordenone come "l’ingegnere di Dio": piscine, palestre, laboratori e i 14 moduli abitativi per i pazienti e le loro famiglie, da addestrare per sei mesi in un <+corsivo>turn over<+tondo> che dia spazio ai tanti in lista d’attesa dal Triveneto. «Per ora è tutto sulla carta ma bisogna crederci – è fiduciosa Loredana – e soprattutto credere: senza la fede, in storie come la nostra non ce la fai». Lo sa bene Giancarlo, che ad agosto ha percorso a piedi il Cammino di Santiago, 870 chilometri dormendo per terra e resistendo alle piaghe. «Perché l’ho fatto? Per rendere grazie a Dio di ciò che ci ha mandato. Ho imparato che le disgrazie sono eventi e ti possono arricchire, che Dio ti dà la forza per reggerle, e grazie ad Ale ho capito il vero senso della vita. Prima ero un cristiano, ora voglio essere un <+corsivo>buon<+tondo> cristiano». Tra le centinaia di pellegrini incontrati sulla via, conserva le parole di un napoletano, 27 anni: «Sono un non credente e per questo sono qui. Lo sto cercando».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: