Il presidente Mattarella con il premier Draghi - Ansa
Più di un’ora faccia a faccia, Sergio Mattarella e Mario Draghi, sul Colle, ieri mattina. I due principali artefici della ripresa del 2021 - di nuovo insidiata dalla pandemia e dall’impennata dei prezzi - impegnati a garantire la tenuta di questo mezzo miracolo di fronte allo stallo dei partiti per l’elezione del capo dello Stato, con i problemi sul governo che si porta dietro.
È una assoluta novità, certo, la prospettiva che sia proprio Mario Draghi il candidato più accreditato alla presidenza della Repubblica. Non è mai accaduto infatti che il capo del governo in carica si sia spostato al Quirinale, essendo chiamato lui stesso, un minuto dopo l’insediamento, a decidere del suo successore.
C’è sempre una prima volta, ma di certo l’assoluta emergenza in cui siamo dentro introduce una complicazione in più: l’intesa su una tale candidatura non può che includere un'intesa anche sul futuro dell’azione di governo. Alla luce di ciò va letta la giornata di grande attivismo e cucitura istituzionale alla quale si è dedicato il presidente del Consiglio, ieri. Il faccia a faccia sul Colle era stato tenuto inizialmente coperto, ma poi c’è stata la conferma, come anche dell’incontro di Draghi con il presidente della Camera Roberto Fico. Poi pomeriggio il premier ha ricevuto a Palazzo Chigi i ministri Dell'Istruzione Messa e della Difesa Guerrini (considerato il più vicino all'attuale inquilino del Colle) e la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Quest’ultimo incontro ha avuto come tema, unicamente, la relazione al Senato, in programma oggi, sullo stato dell’amministrazione della Giustizia. Ma è soprattutto il doppio incontro in rapida sequenza con la prima e la terza carica dello Stato a destare interesse.
Al centro di entrambi i faccia a faccia ci sarebbe stato soprattutto il tema dell’ammissione al voto di grandi elettori positivi e no vax. Una questione tecnica che però introduce problemi costituzionali importanti. Alla fine però, nonostante le pressioni in tal senso del centrodestra (con Forza Italia che annuncia un ordine del giorno sul tema) il governo sembra orientato a tenersi fuori dalla questione, limitandosi a regolamentare solo gli aspetti di sua competenza, ossia la libera circolazione sul territorio, questione che chiama in causa la partecipazione al voto dei no vax (sarebbero 5) che dalle isole dovranno portarsi a Roma. È impensabile però che solo di questo si sia parlato fra Draghi e Mattarella sul Colle, nel loro primo, lungo, faccia a faccia dell’anno, durato una settantina di minuti.
Per Draghi, in realtà, è stata l’occasione per fare il punto sui principali dossier sul tavolo, ivi compreso gli impegni con l’Europa per il Pnrr e lo scostamento di bilancio, al centro di diversi incontri tenutisi ieri a Palazzo Chigi e lo stato della giustizia, al centro poi del colloquio con la Guardasigilli del pomeriggio. Chi ha parlato ieri con lui negli incontri susseguitisi a Palazzo Chigi ha maturato l’idea di un premier completamente sul pezzo, non certo in fase di smobilitazione, pronto a trasferirsi a 800 metri di distanza, sul Colle più alto.
Dal Quirinale trapela un’immagine molto simile, un premier determinato e intento a rassicurare il capo dello Stato che l’azione di governo va avanti senza incertezze o distrazioni del "manovratore" per possibili futuri incarichi che lo renderebbero succube dei veti dei partiti, come è stato detto. Senza peraltro che Mattarella lo abbia mai pensato, in verità. Una giornata, quindi, che è servita a rassicurare tutti che il turbolento passaggio cui andiamo incontro non avrà ripercussioni sul futuro dell’Italia e sugli impegni presi da Draghi al suo insediamento. Che poi a Palazzo Chigi ne abbiano tratto l’impressione che il presidente del Consiglio vuol restare dov’è, mentre al Quirinale, viceversa, non si esclude affatto che possa essere proprio Draghi a subentrare, dà l’idea di una partita ancora tutta da giocare, e che solo ora entra nel vivo. Con tante ipotesi sul tavolo, forse anche il Mattarella-bis, finora preso in considerazione solo da Pd ed M5s. Ma se davvero Silvio Berlusconi fosse pronto a rinunciare, cambia tutto, anche nel centrodestra.