L’insegnante con la valigia si sposta dal Mezzogiorno al profondo Nord solo perché nel Meridione gli studenti sono sempre di meno. Lo fa per necessità, non certo per opportunità. Non si tratta di un esodo, ma di una scelta obbligata per guadagnare punti in graduatoria. In molti casi è un precario, alla ricerca di stabilità. E davanti a sé trova classi ormai abituate a cambiare uno o due professori ogni anno, con tanto di problemi didattici conseguenti. È l’immagine di una scuola a due velocità quella che emerge dal rapporto della Fondazione Agnelli, con al centro il discusso tema della mobilità dei docenti. Chi sono gli insegnanti con la valigia? Come e perché si spostano da un istituto all’altro? Esistono squilibri tra Nord e Sud e come influiscono sull’occupazione del personale docente? Nell’ultimo anno scolastico, su 852mila insegnanti al lavoro, ben 209mila hanno cambiato sede scolastica rispetto all’anno precedente. Siamo al 25% e poco consola il fatto che nelle rilevazioni precedenti il valore fosse di due punti percentuali superiore. No ai luoghi comuni Il cambio continuo di sede per i docenti è un fenomeno « demenziale » . Parola del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, che nel settembre scorso bollò così la notizia di cambiamenti per uno studente su tre, all’inizio del nuovo anno scolastico. Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci, fatti filtrare nell’estate scorsa anche in ambienti politici: la mobilità dei professori è un fatto che non attiene a presunte diffe- renziazioni o discriminazioni territoriali, ma alla logica di reclutamento storicamente in vigore nel mondo della scuola. Secondo la Fondazione Agnelli, solo il 19% degli insegnanti di ruolo nati al Sud lavorava, nell’anno scolastico 2008/ 2009, in una scuola del Nord, anche se « assai più elevata – scrive il rapporto – è la percentuale di insegnanti di origine meridionale nelle graduatorie provinciali a esaurimento delle regioni settentrionali » . Come si vede, siamo ben lontani dalla presunta « invasione » di prof siciliani, calabresi o pugliesi nelle classi del Friuli o del Piemonte, o dalla necessità di test sul dialetto e la storia locale, come evocò nel luglio scorso la Lega. Del tutto privo di fondamento, poi, è lo scenario sulla « mobilità di rientro » , da Nord a Sud: il numero di domande effettuate è risultato inferiore a 500 ( solo l’ 1%), il che « smentisce convincimenti talora presenti nell’opinione pubblica e nelle forze politiche » . Occorre invece ribadire con schiettezza, sostengono i ricercatori della Fondazione Agnelli, che « una delle più vistose patologie della scuola italiana » è proprio la « discontinuità didattica » . Diverse ricerche hanno mostrato, infatti, che al crescere della mobilità dei prof da una cattedra all’altra, peggiorano i risultati degli studenti. Il trasferimento di un insegnante di ruolo può essere volontario ( e in questo caso l’obiettivo è avvicinarsi a casa o insegnare in un istituto di maggior prestigio) oppure indotto e obbligato dalle inerzie del sistema scolastico. Differente è il discorso per i prof a tempo determinato, i cosiddetti precari: i trasferimenti sono stati 66mila, pari all’ 8%, e in questo caso l’assegnazione a una sede è determinata dai punteggi e dai meccanismi delle graduatorie. Gli squilibri? Dovuti agli studenti Va detto peraltro che i tempi di attesa per l’inserimento in ruolo sono più « brevi » al Nord rispetto al Sud: in Lombardia l’assunzione a tempo indeterminato di un docente avviene a un’età media di 39 anni, in Campania a 42. Ma la maggior facilità nell’ottenimento di una cattedra stabile nelle regioni settentrionali è solo una faccia della medaglia: l’altra è costituita dal progressivo squilibrio tra gli studenti presenti nelle classi. A livello nazionale la popolazione studentesca è complessivamente diminuita di circa 12mila unità, ma mentre nel Nord Est, nel Nord Ovest e nel Centro Italia gli studenti crescono rispettivamente di 18.500, 19.500 e 2.500 unità, la vera grande diminuzione riguarda il Sud, con circa 52mila studenti in meno. Al di sotto di Roma, dunque, le classi si svuotano, scompaiono o vengono accorpate e, per chi voglia insegnare, diventa automatico spostarsi laddove la domanda di sapere c’è: al Nord, sempre più sostenuta dai ragazzi immigrati che popolano le nostre città. Da qui parte il lungo viaggio dell’insegnante con la valigia, che ancora troppo spesso si rivela un percorso a ostacoli in cui il traguardo rimane un miraggio lontano.