lunedì 2 gennaio 2023
Rodaggio finito, alibi in discesa, responsabilità in salita. I dossier sul tavolo di Palazzo Chigi, con il nuovo anno, assumono un peso politico totalmente diverso
Giorgia Meloni

Giorgia Meloni - .

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«È tutto nuovo stavolta, perché facciamo una conferenza di fine anno ma questo governo è in carica solo da pochi mesi…». Ha esordito così, Giorgia Meloni, due giorni fa, nel tradizionale incontro con la stampa che fa il punto sull’azione dell’esecutivo. Mani avanti su ciò che si è potuto fare nel 2022, dunque.

Ma il 2023 è tutt’altra cosa: rodaggio finito, alibi in discesa, responsabilità in salita. Si riducono drasticamente le possibilità di giustificare inciampi, errori e contraddizioni: già in queste ore si inizia a elaborare faticosamente la retromarcia sul contrasto al Covid - incognita imprevista -, e mano a mano risulterà sempre più evidente quale sia la distanza tra propositi e realtà su migrazioni, riforme, fisco, rapporto con l’Europa.

La più consapevole sembra proprio lei, Giorgia Meloni, che predica prudenza e basso profilo anche ai suoi ministri più arrembanti. Insomma i dossier sul tavolo di Palazzo Chigi, con il nuovo anno, assumono un peso politico totalmente diverso.

Conflitto, energia e ruolo dell’Italia

Sulla scena dei primi mesi del 2023 resterà, senza dubbio alcuno, il conflitto in Ucraina. Il 24 febbraio sarà un anno dall'inizio dell’aggressione russa. Giorgia Meloni andrà a Kiev, da Zelensky, prima di questa data, in previsione e nella speranza di un primo abbozzo di negoziato. La premier ha detto di voler proporre l’Italia come Paese «garante» tra Ucraina e Russia, ma sino a quando i segnali di dialogo, da parte di Mosca, non saranno reali la strategia non cambia: il sostegno a Kiev continuerà ad essere anche militare, nonostante un’ampia parte di opinione pubblica non convinta che questa sia la strada giusta, o almeno l’unica possibile. Ma anche Roma, come altri capitali europee, inizia a fare il conto delle spese, mentre quello dei contraccolpi economici e sociali è già evidente dalle percentuali dell’inflazione e dalle stime del Pil. La linea non cambierà, dunque, e soprattutto non cambierà l’allineamento dell’Italia alle decisione prese in ambito Ue e Nato. Ma si intravede a Roma, come in altre cancellerie europee, un pragmatico bisogno di tregua bellica.

Mentre il conflitto si prolunga, il governo è tenuto a proseguire sulla politica energetica disegnata da Mario Draghi: sostegno finché necessario a famiglie e imprese contro il caro-bollette («Costa 5 miliardi al mese», ha ricordato Meloni), diversificazione degli approvvigionamenti e rigassificatori. Meloni vorrebbe puntare forte, provando a fare da «capofila della Ue», sull’Africa, nell’ottica di quel “piano Mattei” che ha come scopo implicito e più o meno inconfessabile – e piuttosto improbabile nel breve termine – di ridurre le cause dell’emigrazione.

Ue, Pnrr e Patto di stabilità

Improntato alla prudenza è anche il dialogo con Bruxelles, mentre appare molto faticoso, al momento, il dialogo con Berlino e, soprattutto, Parigi. Ma al momento la premier punta tutto sull’interlocuzione con la Commissione. La priorità assoluta è il Pnrr: il governo ha dato una “prova di buona volontà” chiudendo in tempo i 55 obiettivi del secondo semestre del 2022, che aprono le porte alla nuova rata da 19 miliardi. Ora, però, il premier deve spiegare a Bruxelles in quale direzione modificare il Piano di ripresa e resilienza. I margini sono stretti. Sulle riforme concordate non si può retrocedere. Si può lavorare sui cantieri e sui progetti finanziabili, rimodulandoli. Non sono scelte burocratiche, ma politiche. Anche gravose, perché dal Pnrr sostanzialmente ogni comparto del Paese attende la risposta a parte dei propri problemi. In contemporanea, in seno al Consiglio Ue, dunque in una dialettica con i suoi omologhi, Giorgia Meloni dovrà trattare la riforma del Patto di stabilità e crescita. Bisogna trovare alleati. E quel deficit relazionale con Macron, prima o poi, dovrà essere risolto.

Riforme tra presidenzialismo e dialogo

Il bivio dovrebbe arrivare a fine gennaio: o un disegno di legge del governo per la riforma della Costituzione in senso semipresidenziale (elezione diretta del presidente della Repubblica) oppure una “Bicameralina” per scrivere insieme le regole. Trenta giorni per provare un dialogo con le opposizioni, dunque. Tutte o qualcuna? La sensazione è che Meloni guardi soprattutto alle aperture del Terzo polo e attenda anche di capire come andrà la partita nel Pd. Calenda e Renzi hanno già detto che loro sarebbe disposti a ragionare sul “premierato forte”. Al treno potrebbe aggiungersi Stefano Bonaccini, se si aggiudicasse la segreteria del Pd. Se invece a guidare il Pd sarà Elly Schlein, dem e 5s si salderebbero, probabilmente, in una dura opposizione.

Fisco e Rdc

La premier ha fissato gli obiettivi: arrivare a 5 punti di tagli del cuneo, inserire i carichi familiari nei criteri di tassazione e premiare chi assume. Ma appaiono più obiettivi di legislatura che per il 2023. Nemmeno citate, in conferenza stampa, la flat tax “leghista”, le pensioni minime a mille euro, l’uscita da lavoro con quota 41. Starà alla premier smorzare le richieste onerose degli alleati senza causare problemi al governo. Non sarà semplice poi raggiungere l’obiettivo fissato per gli “occupabili” che tra 7 mesi perderanno il Reddito di cittadinanza. Sono circa 800mila, secondo le stime. La premier ha detto di volerli formare e far lavorare. Una di quelle promesse che è bene ricordare, quando poi bisognerà fare un nuovo bilancio di fine anno.

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