In questo modo «molte tv finiranno per soccombere». Più che un grido d’allarme è una «protesta fondata su dati concreti». E i dati sono quelli forniti da Aeranti-Corallo e Frt, le due maggiori associazioni dell’emittenza italiana, praticamente l’intero panorama radiotelevisivo nazionale e locale. Se dovesse essere adottato il piano di assegnazione delle frequenze che è attualmente al vaglio dell’Autorità delle comunicazioni, ha spiegato il presidente di Aeranti-Corallo, Marco Rossignoli, da un giorno all’altro ci sarebbero 120 tv locali che non avrebbero più spazio per trasmettere e «per noi non ci sarebbe alternativa al ricorso al Tar».I dettagli sono stati forniti in una conferenza stampa che è stata organizzata ieri a Roma dai vertici delle due associazioni. Col presidente Rossignoli c’erano il presidente della Frt Filippo Rebecchini, il presidente del settore tv locali di Frt Maurizio Giunco e il segretario nazionale aggiunto della Fnsi Giovanni Rossi, che ha ricordato come una simile operazione faccia il paio con le tante iniziative normative volte a limitare l’azione dei giornalisti e dei giornali, comportando rischi evidenti per il diritto del cittadino ad essere informato.La vicenda denunciata dalle tv locali nasce dalla necessità di redigere un piano delle frequenze valido per il digitale terrestre. Una questione che, per quanto riguarda le sei aree geografiche nelle quali c’è già stato il definitivo passaggio alla tv digitale (switch off), è stata affrontata e risolta sulla base dei diritti acquisiti: dare cioè uno spazio alle tv locali che già trasmettevano in analogico. Il problema è che il piano allo studio dell’Autorità è concepito su base nazionale, non come risultato della somma delle singole "aree tecniche" regionali. Inoltre è studiato prima di tutto per garantire le emittenti nazionali, assegnando a esse, secondo Rossignoli, «le migliori risorse radioelettriche su base locale».Tecnicamente le assegnazioni delle frequenze già operative nelle aree interamente digitalizzate hanno seguito la modalità Sfn (single frequency network), indicata come ottimale dalla delibera 181-2009 della stessa Autorità. Tecnica nella quale si assegna una sola frequenza per ogni emittente. In questo modo le tv nazionali utilizzano in qualunque comparto regionale la medesima frequenza, lasciando le altre alle locali. Il piano dell’Autorità, invece, utilizza il sistema K-sfn, che prevede la realizzazione di reti composte da più di una frequenza. Ogni tv nazionale, in pratica, non userebbe la stessa frequenza in tutte le regioni, ma frequenze diverse, secondo le necessità.Alla fine dei conti, quindi, ha rilevato Giunco, salterebbero anche gli accordi presi per le aree già digitalizzate, perché venendo assegnate alle tv nazionali frequenze diverse sul territorio, «salterebbero tutti gli equilibri faticosamente raggiunti, con molte tv locali costrette a cambiare frequenza, pagandone gli oneri conseguenti, e molte altre senza più spazio trasmissivo». Nel Lazio, per esempio, con questo nuovo piano ci sarebbero fra le quattro e le dieci emittenti senza più frequenza, quindi destinate a morire. A livello nazionale, ha detto Giunco, «abbiamo calcolato siano più di un centinaio».In proposito Rossignoli ha ricordato che la legge stabilisce che alle tv locali debba essere riservato un terzo delle frequenze, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Le frequenze che invece rimangono alle locali sulla base del piano dell’Autorità «sono residuali e di scarsa qualità, con numerosi problemi di interferenze anche con gli Stati esteri». Da qui «l’eventualità concreta della chiusura per tante tv». «Una vera follia», ha aggiunto Rebecchini, con serie ripercussioni a livello occupazionale.