Le aree «potenzialmente inondabili » dal fiume Milicia sono «il territorio comunale di Casteldaccia nei pressi della zona denominata Dagale Cavallaro» sotto «un costone roccioso », «a monte dell’attraversamento autostradale », di fronte a «un’ansa che manifesta un processo di erosione», e «contrassegnata dalla presenza di alcuni fabbricati e sedi stradali che in caso di evento alluvionale costituiscono vie preferenziali per il deflusso delle acque».
Previsioni che fanno venire i brividi. È proprio il luogo dove sabato sera sono morte nove persone. La villa in località Dagale Cavallaro, proprio sotto il costone roccioso, di fronte all’ansa del fiume e all’attraversamento autostradale. Tutto visibile nelle foto del disastro. Tutto previsto e scritto nel novembre 2015 nel 'Piano di gestione del Rischio di Alluvioni All. A.10 - Bacino Idrografico del Fiume Milicia' elaborato dall’Assessorato Territorio e Ambiente, Dipartimento dell’ambiente, Servizio 3 'Assetto del territorio e difesa del suolo' della Regione Sicilia. Un documento di 36 pagine che contiene tutto quello che è necessario sapere su un fiume tutt’altro che tranquillo, su un bacino idrografico «piuttosto accidentato» e dove «risultano molto diffusi i fenomeni franosi». Ma è soprattutto il fiume a preoccupare. E c’erano tutti gli elementi per capire perché quella e altre case lì non dovevano stare, ma anche per capire le fragilità delle protezioni dal fiume.
Anzi, l’assenza di protezioni. Si legge, infatti, che «le opere di sistemazione idraulica che interessano direttamente il fiume non sono particolarmente rilevanti. Lungo l’asta fluviale non esistono arginature di rilievo». Eppure nell’area, lo dice ancora il documento regionale, «le precipitazioni talvolta sono di notevole intensità (media annua di circa 500-600 mm) e possono determinare piene elevate anche se di durata relativamente breve». Proprio come accaduto sabato. Lo studio è concentrato proprio su questa zona. Che «è caratterizzata dalla presenza di numerosi elementi a rischio ed in prossimità della foce».
Poi una spiegazione tecnica. «Nel tratto medio-vallivo a pendenza più modesta sono state individuate delle aree potenzialmente inondabili di estensione crescente all’aumentare del tempo di ritorno dell’evento di piena considerato». E una previsione che sembra il film di sabato sera. «In tale tratto, per tutti i tempi di ritorno esaminati, il corso d’acqua non riesce a fare defluire all’interno dell’alveo le relative portate al colmo di piena, per cui le aree limitrofe ad esso risultano inondate». E qui il documento cita Dagale Cavallaro. «L’asimmetria dell’area di allagamento – è la descrizione –, rilevabile in modo prevalente in destra idraulica, è determinata dalla presenza di un costone roccioso costituito dalle calcareniti pleistoceniche terrazzate. In tale zona il corso d’acqua presenta un’ansa che manifesta un processo di erosione che interferisce con un fronte di fabbricati prospicienti l’alveo».
E ancora: «Quest’ultima zona è contrassegnata dalla presenza di alcuni fabbricati e sedi stradali che in caso di evento alluvionale costituiscono vie preferenziali per il deflusso delle acque in esse incanalata e in tal modo concorrono alla delimitazione dell’area soggetta ad inondazione ». Per questo si danno alcune prescrizioni: «Misure per evitare la localizzazione di nuovi o ulteriori elementi vulnerabili in aree soggette a inondazioni», cioè stop a nuove case; «Politiche di pianificazione dell’uso del suolo o regolamentazione »; «Fasce di pertinenza fluviale», evidentemente non rispettate; «Misure per adattare gli elementi vulnerabili e per ridurre le conseguenze negative in caso di alluvione», quegli argini inesistenti. Realizzato? Nulla.