mercoledì 4 agosto 2010
La Guardia di finanza dell'Emilia Romagna ha scoperto dieci aziende che producevano false fatture. Con questi documenti, centinaia di imprenditori, sempre cinesi, riuscivano a frodare il fisco ed evitavano di pagare le tasse. In due anni sono stati sottratti al fisco 250 milioni di euro. La banda si serviva della consulenza di commercialisti di origine cinese nati in Italia.
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Vendevano fatture per acquisti o lavori inesistenti per far abbattere, attraverso finti costi, gli incassi delle ditte di alcuni connazionali che evitavano così di pagare le tasse. La guardia di finanza dell'Emilia-Romagna ha scoperto dieci aziende gestite da cinesi che hanno prodotto false fatture per oltre 1.200 aziende di imprenditori, sempre cinesi, per lo più del tessile. Sono così stati sottratti al fisco in soli due anni 250 milioni di euro, e evasi 45 milioni di Iva.Le aziende "cartiere" avevano sede in Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia. Fisso il tariffario per i "tarocchi": dai 150 ai 600 euro. Il vantaggio era consistente: pagando 600 euro infatti un imprenditore è riuscito a portare in contabilità un costo (fasullo) di 390mila euro. In alcuni casi le ditte, avendo addotto costi superiore ai ricavi, sono perfino andate a credito con il fisco. I finanzieri hanno denunciato 37 imprenditori, tra fruitori e titolari delle "cartiere", per utilizzazione di fatture false per operazioni inesistenti. A breve potrebbero essere indagati tutti gli oltre 1.200 imprenditori acquirenti delle fatture false. Al gruppo non viene contestata l'associazione per delinquere, ma la finanza vuole vederci chiaro sul fatto che da tutta Italia gli imprenditori si rivolgevano sempre alle stesse dieci ditte. Non solo: andrà anche chiarito il ruolo giocato da otto studi di commercialisti dove lavoravano cinesi di seconda generazione laureati in Italia che hanno fornito "consulenze fiscali".La fatture false servivano agli imprenditori perchè lavorano tutti in subappalto per ditte italiane della moda che fatturano i lavori. A fronte di incassi "innegabili" al fisco, gli imprenditori avevano quindi trovato modo di vanificarli fiscalmente con spese mai sostenute: lavori edili o produzione di abiti. Per il generale Domenico Minervini, comandante della Gdf dell'Emilia-Romagna, questo modo di operare rappresenta «il salto di livello della criminalità economica cinese».         L'indagine era partita da un'inchiesta che a Ferrara nel 2008 scoprì una vera propria cittadella di clandestini dentro capannoni dove c'erano opifici abusivi. L'indagine portò all'arresto di due imprenditori e di 11 clandestini, oltre alla denuncia di 24 altri titolari di aziende. Ma controllando le carte delle ditte, i finanzieri hanno poi scoperto il giro di fatture false, di cui si servivano aziende di tutt'Italia, con la sola eccezione di Basilicata, Molise, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta.
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