martedì 11 ottobre 2011
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Sono certo che una delle notizie "politiche" più importante di domenica non è il discorso di Alfano a Saint Vincent, né la replica di Franceschini: la notizia più importante - e drammatica - è la disperazione di un padre che in un paese della Toscana (ma poteva succedere dappertutto, in Italia), dopo l’ennesima crisi notturna del proprio figlio disabile, di 39 anni, lo uccide, e poi sveglia la moglie, chiama i carabinieri e si consegna alla giustizia. È un dramma della solitudine, dell’isolamento, dell’abbandono, in una situazione ormai sotto i riflettori da molto tempo, nel nostro Paese, quella del "dopo di noi", sui cui sono stati scritti ormai molti libri, fatti molti convegni, spesi molti soldi: eppure rimane una situazione per cui molti genitori di un figlio disabile adulto, cui hanno dedicato tutta una vita di cure, di isolamento, di notti insonni, di ricerche affannose e senza esito di aiuto dall’esterno, quando diventano anziani si trovano a pensare: «Speriamo che mio figlio muoia un attimo prima che muoia io; altrimenti chi se ne occuperà con lo stesso nostro amore?». Ma dov’eravamo tutti noi, mentre questi genitori lottavano, piangevano, curavano, e infine  perdevano ogni speranza, fino al gesto così tragico di togliere la vita ad un figlio a cui avevano dedicato quarant’anni della propria? Perché, dopo quarant’anni, questi genitori non sperano niente dalla società? È una domanda che riguarda ciascuno di noi, nei nostri ruoli: la politica <+corsivo_bandiera>in primis<+tondo_bandiera>, che fa fatica a sostenere queste famiglie, ma anche il mondo delle famiglie, la comunità ecclesiale, l’associazionismo, l’intera società. Il vero scandalo è proprio che questa famiglia non si aspettava niente dalla società, e nessuno è stato capace di farsi prossimo al loro dolore, alla loro fatica, alla loro disperazione. Il giudizio sul gesto di un padre disperato è rimesso alla misericordia di Dio Padre, certamente più grande del nostro piccolo cuore; ma impedire quella disperazione, diventando capaci di farsi prossimo a quella famiglia, con le mille modalità possibili alla politica, ai servizi sociali e sanitari, alla comunità ecclesiale e parrocchiale, al volontariato, ad ogni famiglia, perché «mai più nessuno si senta solo» davanti alla disabilità e alla cura dei propri cari fragili, è un compito e una responsabilità di cui dovremo rendere conto in prima persona. 
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