Ansa
Di per sé il peso dei carburanti sul paniere dei beni e servizi usato per calcolare l’inflazione non è enorme: se ne va in benzina e diesel il 4,6% della spesa della famiglia media italiana, calcola l’Istat. Nel bilancio famigliare di un anno pesano di più scarpe e vestiti (6,4%) o bar e ristoranti (7,4%).
Ma i carburanti, come le bollette di gas e luce, sono più insidiosi. Lo sono sia per gli statistici che per i politici, per ragioni diverse. La questione politica è l‘impopolarità dell’aumento del prezzo di benzina e gasolio. Fare il pieno non è come pagare le tasse, ma ci assomiglia molto: intanto perché tra Iva e accise l’incasso del fisco è maggiore di quello di benzinai e petrolieri, e poi perché riempire il serbatoio è considerata in genere una “spesa obbligata”, che si deve fare anche se non si vorrebbe. Quest’idea del rifornimento inesorabile non è sempre corretta, sicuramente se si trascurano soluzioni alternative alla macchina di proprietà per spostarsi, però è diffusa. È il motivo per cui il prezzo della benzina è considerato un fattore chiave per il tasso di gradimento di un presidente degli Stati Uniti. E anche di un governo italiano.
Fare il pieno non è come pagare le tasse, ma ci assomiglia molto: intanto perché tra Iva e accise l’incasso del fisco è maggiore di quello di benzinai e petrolieri, e poi perché riempire il serbatoio è considerata in genere una “spesa obbligata”, che si deve fare anche se non si vorrebbe.
In gioco c’è soprattutto la popolarità dell’esecutivo tra le classi più povere (e più numerose) della popolazione. L’indice d’inflazione armonizzato europeo è calcolato con panieri differenziati in base alle diverse classi di spesa delle famiglie: mostra che per il 20% più povero della popolazione i beni energetici (bollette e carburanti) si prendono il 14,5% della spesa annua, quota che scende gradualmente al salire delle risorse, fino a ridursi al 9,5% per il secondo gruppo a maggiore spesa e al 6,7% per le famiglie che spendono di più. È chiaro: gasolio e benzina hanno lo stesso prezzo per tutti, i loro rincari tendono a pesare maggiormente sui bilanci delle famiglie che hanno meno soldi.
All’insidia politica si aggiunge quella statistica. Dal momento che i carburanti servono a trasportare beni di tutti i tipi, l’aumento dei loro prezzi fa salire i costi di produzione di settori diversi e dà un’ulteriore spinta all’inflazione. Lo ha ricordato ieri Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, notando che i rincari dei carburanti hanno effetti “diretti” e “indiretti” sull’inflazione.
A livello di impatto diretto Eurostat calcola che a novembre dei 10,1 punti percentuali di inflazione della zona euro, 0,52 punti erano direttamente prodotti dal caro carburanti. Istat non pubblica questo tipo di dato, ma la voce aggregata “beni energetici non regolamentati” (che include carburanti ed energia elettrica sul mercato libero) da sola ha portato quasi 5 degli 11,6 punti di inflazione di dicembre.
Calcolare gli effetti indiretti è più complesso, perché sono molte le variabili in gioco e ogni impresa può decidere in che misura scaricare l’aumento dei costi sul cliente finale. Il prezzo del cibo è particolarmente sensibile a quello dei carburanti, così come quello dei trasporti. In uno studio del 2021, pubblicato quando la corsa globale dei prezzi stava accelerando, due economisti del Fondo monetario internazionale hanno concluso che l’impatto indiretto del prezzo dei carburanti sull’inflazione è modesto: un aumento dell’1% dei prezzi alla pompa porta a una crescita dell’inflazione di 4 centesimi di punto percentuale nel medio termine. Sono analisi che vanno calibrate sulle singole realtà locali, ma anche lo studio del Fmi mostrava che nelle nazioni più povere gli effetti dei rincari erano più pesanti.