In mare comanda il
rais, ma a terra il mercato si prende tutta la sua rivincita. Ci vogliono centinaia di migliaia di euro per calare le reti in cui finiranno i tonni, che sfrecciano nelle acque tra l’isola di San Pietro e le coste del Sulcis. Da aprile a giugno, diretti al mar Nero, ogni anno dai tempi dei Fenici. Iniziarono loro a pescare il tonno di corsa utilizzando la tonnara fissa. Oggi ne restano quattro, due operatori controllano l’intero mercato e da quest’anno si sono alleati, dopo anni di piccoli dispetti, scontri commerciali e battaglie legali. D’altronde, la posta in gioco è alta: una scatoletta di tonno di Carloforte sott’olio si aggira intorno ai trenta euro, gourmandise e vanto della pesca nazionale. Fino a qualche anno fa i migliori compratori erano giapponesi: hanno imposto loro una revisione della mattanza, che oggi è meno cruenta perché, ci spiega il presidente delle Tonnare Sulcitane di Portoscuso, Umberto Maccioni, «le carni devono essere perfette». Le Sulcitane impiegano una trentina di persone. Calano le reti - una barriera di due chilometri ancorata alla costa e che spinge i pesci verso le sezioni della tonnara, fino alla camera della morte, dove i tonni vengono tirati sulle barche durante la mattanza - nell’area di Porto Paglia, a lungo interdetta perché le miniere della zona ne avevano intorbidito le acque. «Oggi peschiamo un centinaio di tonnellate di tonno rosso - dichiara Maccioni - dopo un periodo di flessione determinato dalle tonnare volanti». Loro, l’incubo dei tonnarotti sardi, inseguono i banchi con grandi vascelli superattrezzati e tirano su migliaia di esemplari. Quest’anno si è chiuso con la vittoria delle "fisse", che si sono viste riconoscere una quota di pesca di 240 tonnellate, suddivisa tra quattro imprese, concentrate tra l’Isola di San Pietro e il Sulcis. «Le norme europee - prosegue Maccioni - sono restrittive ma solo noi italiani le applichiamo con tanto rigore: nel Mediterraneo si possono catturare solo esemplari da trenta chili, mentre appena oltre Gibilterra il limite scende a otto». Implacabili, manco a dirlo, le "volanti" giapponesi: nel paese del Sol Levante, il tonno rosso costa 200 euro al chilo. «Qui lo vendiamo a dieci e sul mercato finisce a 16» commenta l’imprenditore. In questo campo, i veri
rais del mercato sono i Greco di Carloforte. E’ loro una delle tonnare fisse più antiche, quella dell’Isola Piana. Sempre loro hanno promosso la consociazione d’imprese che sta trasformando l’oligopolio delle tonnare fisse in un monopolio vero e proprio. Il quartier generale si trova alla punta nord dell’isola. La parte più antica dell’azienda è una specie di museo della tonnara, o almeno potrebbe diventarlo se la Regione Sardegna mettesse mano al portafoglio, come dicono da queste parti. I Greco hanno sviluppato anche la lavorazione industriale del pescato. Filiera completa, dalla pesca alla scatoletta: «Lavoriamo il tonno rosso, con una procedura rintracciabile e certificata» sottolineano Giuliano e Pierpaolo. Anche in questo settore l’Ue non è popolare: «I signori di Bruxelles si sono dimenticati di inserire il tonno rosso nella norma che prevede la possibilità di pescare una percentuale minima di esemplari sotto taglia - lamentano i due imprenditori -, con il risultato che se ne tiri su anche uno solo troppo piccolo ti fermano la mattanza». Il sospetto è che dietro la difesa della riserva ittica si nascondano interessi commerciali ben precisi: «Stranamente, da quando i grandi operatori internazionali hanno deciso di eliminare i loro stock si è scoperto che il tonno rosso stava estinguendosi. Se tutto fosse stato lineare, le quote avrebbero dovuto produrre un ripopolamento dei tonni, una minore offerta e quotazioni più alte. Invece, il prezzo all’ingrosso è sceso fino a 5,50 euro al chilo, segno che mentre noi non pescavamo l’offerta continuava a crescere».