«Prima di muovermi, ho atteso di verificare se ci fossero emendamenti che assolvessero a tale compito. Spero che si trovi una situazione di equilibrio». Ha motivato così, il ministro di Giustizia Paola Severino, la decisione di presentare ieri sera in Senato, presso la Commissione Politiche Ue, un emendamento alla legge comunitaria che, se approvato dai due rami del Parlamento, introdurrà la responsabilità civile dei magistrati. Il testo elaborato dal Guardasigilli prevede la responsabilità indiretta delle toghe, ma rende obbligatoria la rivalsa successiva da parte dello Stato: il cittadino che riterrà d’aver subito «un danno ingiusto», posto in essere «dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni», potrà agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non per la «privazione della libertà personale». Lo Stato poi dovrà, entro 2 anni (non più uno) rivalersi nei confronti del magistrato, chiedendo fino alla metà della retribuzione annuale del magistrato (rispetto all’attuale terzo), per un importo che mensilmente non potrà superare il terzo della stessa retribuzione (al momento è un quinto).L’emendamento del ministro ha chiuso l’ennesima giornata di tensioni sul fronte Giustizia: prosegue infatti il braccio di ferro fra Pdl e Pdl, sia alla Camera che al Senato, rischiando di far vacillare il governo. In mattinata, per superare l’impasse, il ministro Severino aveva annunciato «un emendamento compositivo», salutato come «giusta assunzione di responsabilità del Guardasigilli» dal vicepresidente del Csm, Michele Vietti. Il clima si era fatto rovente nel pomeriggio quando in commissione Giustizia era passato con i voti della vecchia maggioranza (Pdl, Lega e Coesione nazionale) un parere firmato Roberto Centaro, diretto alla Commissione Politiche Comunitarie, in favore del «litisconsorzio necessario», ossia della presenza diretta del magistrato nelle cause intentate contro di lui. Parere inviso al Pd, che con Anna Finocchiaro e Felice Casson, aveva accusato il Pdl di «evidente volontà intimidatoria verso i magistrati» e polemizzando verso chi aveva voluto votarlo senza attendere il testo del Guardasigilli, che comunque alla fine è giunto, portando una schiarita: «Lo valuteremo con attenzione, ma sul principio della responsabilità civile del magistrato non intendiamo fare passi indietro», ha detto, in serata, il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri.Ma il clima ieri è stato teso anche alla Camera, dove va avanti l’esame del Ddl anti corruzione. Formalmente, l’Aula ha votato sino all’articolo 11 del testo, ma accantonandone 4 e non sciogliendo alcuni nodi cruciali. Dopo molte mediazioni, il ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, ha riformulato la proposta sull’incompatibilità, prevedendo, tra l’altro, che chi abbia fatto parte di organi di indirizzo politico o abbia ricoperto cariche pubbliche elettive non possa ricoprire ruoli dirigenziali nella pubblica amministrazione, prima che sia trascorso un anno. Ma anche la sua proposta è stata accantonata. Stessa sorte per le disposizioni sul divieto di ricoprire cariche politiche per sentenze definitive di condanna: la decisione è giunta dopo che un emendamento interamente sostitutivo dell’Idv, firmato da Antonio Di Pietro (che sosteneva l’ipotesi di incandidabilità immediata) aveva infiammato il dibattito. «C’è un brutto clima», spiega Pierluigi Mantini (Udc), autore di un emendamento di compromesso, per introdurre subito la non candidabilità per i condannati in via definitiva, in attesa della legge delega. Accantonati anche i due articoli sugli arbitrati e sulle white list per le imprese non in odore di mafia. Insomma, ancora non c’è accordo e a rafforzare l’ipotesi di un voto di fiducia potrebbe essere la decisione del Guardasigilli di non dare pareri agli emendamenti agli articoli 13 e 14, che riscrivono i reati di corruzione e concussione e introducono il «traffico di influenze illecite». Il dibattito è rimandato a oggi: l’esame del testo riprenderà in aula nel pomeriggio.