giovedì 4 dicembre 2008
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Pubblichiamo l’omelia pronunciata ieri pomeriggio nella basilica di Sant’Ambrogio dal cardinale Dionigi Tettamanzi arcivescovo di Milano durante la Messa per i 40 anni di Avvenire.Carissimi, è nel giorno del quarantesimo anniversario della nascita di Avvenire che celebriamo l’Eucaristia in questa splendida Basilica, qui a Milano, nella città dove il 4 dicembre 1968 ha avuto inizio la storia e dove ha luogo la sede principale del quotidiano. Nei giorni scorsi, nel messaggio alla Chiesa ambrosiana per la Giornata del quotidiano cattolico, ho già avuto modo di ricordare questo anniversario, sottolineando l’originalità e l’insostituibilità di «Avvenire» che, in quanto «voce» dei cattolici, ricopre un ruolo unico nel panorama editoriale italiano. In questi mesi è stato già ricostruito in modo opportuno e felice il cammino che ha portato alla nascita del «nostro» quotidiano, così come in termini sintetici ma quanto mai efficaci il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha fotografato la sfida che oggi «Avvenire» sta vincendo, quella cioè di «far filtrare in ogni zona del nostro Paese la voce serena e libera, credibile e originale di cattolici che amano il proprio Paese, impegnandosi per il suo progresso».Ringrazio di cuore per la possibilità che oggi mi viene offerta di celebrare l’Eucaristia per voi e con voi: in particolare con s. e. monsignor Marcello Semeraro, presidente della Nei (Nuova Editoriale Italiana); con s. e. monsignor Erminio De Scalzi, mio vicario per la Città di Milano e abate di questa Basilica; con i giornalisti, il personale tecnico e amministrativo che saluto con cordialità nelle persone del direttore responsabile Dino Boffo e del direttore generale Paolo Nusiner; con gli altri componenti del Consiglio di amministrazione di «Avvenire» e in particolare il vice presidente professor Lorenzo Ornaghi e il direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei don Domenico Pompili.Celebriamo insieme un’importante ricorrenza e lo facciamo nella forma più alta che ci è concessa: non con gesti, parole ed iniziative umane, ma con il Gesto, la Parola e l’Iniziativa che ci vengono dall’amore appassionato e misericordioso di Dio in Cristo Gesù: l’Eucaristia.Vogliamo dire il nostro ringraziamento per il traguardo raggiunto da «Avvenire». Intendiamo ringraziare il Signore per la provvidenziale e meditata intuizione che quarant’anni fa ha portato Paolo VI a volere con determinazione il nuovo quotidiano, in un tempo che vedeva la Chiesa muovere i primi passi dopo il Concilio Vaticano II, quando cioè nella società italiana iniziava una stagione storica di grandi tensioni e di accesi dibattiti. Così, ancora una volta, Montini dimostrò singolare lungimiranza e grande coraggio. Egli pensava «Avvenire» come strumento indispensabile di evangelizzazione, secondo il criterio base del suo magistero e della sua azione pastorale: il dialogo della Chiesa con il mondo a partire dalla verità di Cristo e dall’autenticità della vita di fede. Dunque con una fedeltà assoluta alla verità che è Cristo e con un amore grande per ogni uomo! Scriveva nella sua prima enciclica, Ecclesiam suam: «Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purchè umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo…» (III, n. 6).Vogliamo ringraziare il Signore, in questo anno che ricorda il trentesimo anniversario della morte di Paolo VI, per averlo donato alla Chiesa e all’umanità come pastore umanissimo, sapiente, coraggioso e santo. E insieme a lui ricordiamo e raccomandiamo al Signore tutte le persone che a diverso titolo hanno pensato, promosso, realizzato, lavorato in questi anni per «Avvenire»: persone che fisicamente condividono qui, stasera, la mensa eucaristica, e persone che dal cielo partecipano già alla liturgia celeste.Carissimi, meditiamo brevemente la parola di Dio che ci è stata donata in questa liturgia: ci aiuta ad «incarnare» nella vita questo ringraziamento, ad intrecciarlo profondamente con gli sforzi che tutti voi fate ogni giorno per realizzare e diffondere il giornale, partecipando così – da Christifideles laici –- alla missione evangelizzatrice della Chiesa, alla comunicazione della buona Notizia di Cristo secondo le più diverse modalità umane. Nella prima lettura il Signore si rivolge al profeta Geremia indicandogli quelle azioni che dovrà predicare al popolo affinché possa continuare ad abitare la terra dei padri, la terra della promessa. Ci colpiscono in particolare due precise indicazioni: non confidare nelle parole menzognere e pronunziare giuste sentenze. Quanto attuale e urgente è questo appello nel nostro tempo! È davvero tanto ciò che il mondo della comunicazione può fare per cercare, riconoscere e servire la verità: la verità che è Cristo, e ogni sua forma e manifestazione. Solo affidandosi alla verità è possibile allontanare quelle parole di menzogna che causano all’uomo il male, lo confondono, gli impediscono di fare il bene e di giungere alla felicità.Il profeta insiste: «Ma voi confidate in parole false, che non giovano: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate».«Avvenire» continui, con chiarezza e forza, a dare voce alla «parola vera», nella crescente confusione di questi tempi, nel clima di relativismo che intacca la verità e ogni sua espressione, rendendole parziali e inconsistenti, quando non le svuota totalmente. Il coraggio di giudizi sull’uomo e sulle vicende della storia sempre ispirati al Vangelo sia tra le preoccupazioni principali di «Avvenire». È questo uno dei servizi più preziosi resi alla verità, una verità che – grazie anche al vostro lavoro – diviene un bene il più possibile diffuso e condiviso. Dalla seconda lettura, tratta dal profeta Zaccaria, impariamo lo stile con il quale pronunciare questi giudizi: «Ecco ciò che dovete fare: dite la verità ciascuno con il suo prossimo; veraci e portatori di pace siano i giudizi che pronuncerete…». Lo stile, dunque, è quello di parlare con sincerità e di pronunciare giudizi veraci e sereni. Così, precisa il profeta, si può invocare la benedizione e la salvezza del Signore. Siamo chiamati ad essere sinceri, anche quando può sembrare inopportuno o scomodo esserlo; veraci, giudicando sempre a partire dalla visione dell’uomo in Cristo, dal Vangelo, dalla dottrina della Chiesa: un giudizio che il giornale «Avvenire» deve offrire con quella serenità che è tipica di chi sa di dire la Verità e, proprio per questo, la offre non per accusare o stigmatizzare ma per amare anche quelli che non credono.Ecco allora l’importante interrogativo: come il giornale dei cattolici, come un mezzo di comunicazione di ispirazione cristiana può e deve diffondere la verità? Sapendo che il quotidiano non ha la forma di un catechismo, risponderei dicendo: assumendo la forma del racconto: racconto della vita delle persone e delle istituzioni, dei fatti positivi e di quelli negativi, delle vicende che inducono a rallegrarsi e degli accadimenti che addolorano e preoccupano. E in questo raccontare, «Avvenire» si dà un ulteriore e specifico compito: testimoniare con fedeltà e precisione la vita della Chiesa, riportando la voce del Papa, dei vescovi e delle molteplici espressioni della comunità cristiana.Ma «Avvenire» ha altri compiti ancora, che ci vengono illuminati dalla pagina evangelica appena proclamata. Questa ci presenta Gesù che rimprovera severamente i suoi interlocutori: «Sapete interpretare l’aspetto del cielo (quando si fa sera ed è mattino) e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?». Questi farisei e sadducei sanno tutto della realtà del mondo, ma non sono in grado di distinguere i segni dei tempi.Si tratta di distinguere i segni dei tempi: ossia di riconoscere, raccontare e condividere i segni della presenza di Dio nella storia, nella vicenda delle donne e degli uomini che ogni giorno lasciano traccia nei lanci di agenzia, nei servizi televisivi, nei giornali radio, sulle pagine dei giornali. Voi, amici di «Avvenire», non guardate a queste storie, a queste vicende come semplici fatti da raccontare solo perché «notiziabili», interessanti, accattivanti, emozionanti. Perché? Perché sapete bene che dentro quelle storie è possibile riconoscere dei segni preziosi: lo splendore della luce del bene che brilla e illumina suscitando speranza, la tenebra dell’oscurità del male che denuncia l’assenza e l’urgenza del bene. Preghiamo perché il nostro giornale «Avvenire» sappia sempre distinguere i segni dei tempi; non si lasci – dice ancora Gesù nel Vangelo – contaminare dal lievito dei farisei: da quelle mode pericolose, inclinazioni negative, deviazioni che tanto giornalismo oggi subisce, pur di vendere, pur di servire – non certo la verità –, ma l’opinione comune e i poteri forti. Per questo vorrei segnalare un atteggiamento che sarà di valido aiuto per assicurare ad «Avvenire» la fedeltà a questo suo compito: mettiamo sempre al centro la persona. I tanti positivi risultati ottenuti in questi anni dal giornale, anche in termini di diffusione, testimoniano la bontà di questa scelta, resa possibile grazie all’attività di formazione che in questi mesi ha coinvolto le strutture aziendali: una formazione caratterizzata dal forte richiamo alla valorizzazione della persona umana come elemento cardine di sviluppo in ambito lavorativo. La persona al centro: è una missione che per voi, cari amici di «Avvenire», comporta una duplice responsabilità. Anzitutto vi chiede di scrivere con prudenza e con rispetto dei protagonisti della cronaca, anche di coloro che fanno scelte o compiono azioni che sono lontane, che contrastano con la visione cristiana della vita. Anche chi si macchia dei peggiori reati e delle più gravi colpe è pur sempre una persona e come tale amata da Dio e da lui cercata come destinataria della sua salvezza. Un secondo compito riguarda voi come laici cristiani protagonisti del mondo del lavoro. «Avvenire» è un’azienda particolare, da tutti riconosciuta come vicina alla Chiesa. È quindi decisivo per voi testimoniare come sia possibile coniugare i temi della funzionalità dell’organizzazione aziendale e dell’efficienza con i temi della valorizzazione delle risorse umane e delle capacità personali, in applicazione dei principi propri della dottrina sociale della Chiesa, realizzando così un modello applicabile anche in altre realtà imprenditoriali.Quale augurio conclusivo e ancor più quale preghiera, in questo giorno solenne, vorrei lasciarvi le parole di papa Paolo VI. Rivolgendosi, nell’udienza del 27 novembre 1971, ai giornalisti e a tutti i dipendenti di «Avvenire», così vi spronava: siate sempre più «impegnati ad un comune servizio alla causa di Cristo, alla testimonianza della sua Chiesa, alla costruzione di una società sana, moderna, cristiana».
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