Il cardinale Tettamanzi in visita alla parocchia San Pio V e alle case popolari in zona Molise Calvairate. Con l'arcivescovo l'allora parroco don Giorgio Gritti - Fotogramma
«I diritti dei deboli che non sono diritti deboli», come diceva spesso, e quella istantanea che ne fu l’immagine simbolo: lui con la veste e lo zucchetto rosso cardinalizio che, 76enne a pochi giorni dal Natale 2010, cammina tra le pozzanghere gelate del campo rom di via Triboniano per portare doni ai bambini. Uno dei tanti momenti difficili, ma indimenticabili del cardinale Dionigi Tettamanzi, morto cinque anni fa – il 5 agosto 2017 – a Villa Sacro Cuore di Triuggio (Monza e Brianza) dove si era ritirato, lasciando Milano dopo nove anni di episcopato, iniziato nel 2002 (aveva fatto il suo ingresso solenne il 29 settembre) e conclusosi con la rinuncia alla sede, il 28 giugno 2011.
Il cardinal Dionigi, come molti lo chiamavano, "il cardinale delle mani", poiché ne stringeva a centinaia in ogni suo incontro pubblico, succedeva al cardinale Carlo Maria Martini certamente con un’eredità non facile da gestire, eppure, da subito seppe guidare la Chiesa ambrosiana con equilibrio, generosità, lungimiranza e prudenza, come gli venne (e gli viene oggi) da tutti riconosciuto. Un magistero, il suo, segnato da molte iniziative, dai cosiddetti "cantieri aperti" alle grandi intuizioni come il Fondo Famiglia Lavoro annunciato nella notte di Natale del 2008, mentre si stava inesorabilmente scivolando nella crisi. Sempre dello stesso anno la pubblicazione (più di un milione di copie vendute) della sua famosa «Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione», intitolata «Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito».
«Fu un uomo buono, di riconciliazione, coraggioso, con un alto senso della dignità della persona». Dice così, ricordandolo, monsignor Gianni Zappa, oggi responsabile della Comunità pastorale "San Paolo VI" a Milano e decano del Decanato "Centro Storico", che fu strettissimo collaboratore del cardinale, come suo portavoce e, poi, dal 2006, quale moderator Curiae.
«Nonostante questo suo carattere così buono, per cui non serbava rancore nei confronti di nessuno – aggiunge Zappa – era anche molto coraggioso, sottolineando le collaborazioni e condividendo le decisioni. Aprire i "cantieri", ha avuto riflessi concreti assai significativi: basti pensare alle comunità pastorali, avviate con una lettura capace di interpretare la geografia della diocesi, non solo alla luce della difficoltà derivante dalla diminuzione dei preti, ma soprattutto aperti con la motivazione di una pastorale condivisa più efficace. Diceva, infatti: fare meno, fare meglio e fare insieme».
E, poi, naturalmente il Fondo Famiglia Lavoro. «Un gesto forte. Se consideriamo, inoltre, il momento storico in cui operò, nel quale a Milano si viveva la crisi dei campi rom – con le tante e anche aspre prese di posizione che non lo risparmiarono – credo che si possa ricordare come abbia avuto il coraggio di andare a visitali senza delegare. L’attenzione a chiunque – sottolinea Zappa – era qualcosa che aveva dentro di sé in modo profondissimo, anche per la sua formazione intellettuale e fu sempre coerente con questo suo alto senso della dignità della persona».