sabato 23 dicembre 2023
In attesa della pronuncia della Cassazione, 222 milioni di euro potrebbero tornare ai fratelli Pellino
Uno dei recenti sit-in davanti al Tribunale di Napoli

Uno dei recenti sit-in davanti al Tribunale di Napoli

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I fratelli Pellini, considerati responsabili di uno dei peggiori disastri ambientali mai avvenuti nella Terra dei fuochi, potrebbero riavere indietro 222 milioni tra conti correnti e beni confiscati dallo Stato in quanto frutto accertato delle loro attività illegali. I tre fratelli sono stati condannati in via definitiva a sette anni per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale: nei loro stabilimenti è stato stoccato un milione di tonnellate di rifiuti pericolosi e no, smaltiti illecitamente nei Regi lagni, nelle campagne tra Napoli e Caserta, seppelliti in terreni e cave del territorio o perfino ceduti come fertilizzante agricolo. Ora chiedono, attraverso i propri legali, che tutto ciò che è stato loro tolto dallo Stato ritorni in loro possesso. Il pronunciamento della Corte d’appello di Napoli sulla confisca dei beni ai Pellini è arrivato quest’anno, quattro anni dopo il primo grado di giudizio che la confermava, dunque oltre il termine dei 18 mesi. E ora, in forza di questo, i tre fratelli chiedono alla Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso, di annullare la sentenza del tribunale di Napoli. «A causa di un presumibile ritardo amministrativo da parte della procura della Repubblica di Napoli, i beni sequestrati ai Pellini, del valore di oltre 200 milioni di euro, potranno tornare ai riconosciuti autori della strage per disastro ambientale» ha dichiarato il vicepresidente della Camera, Sergio Costa, già ministro dell’Ambiente M5s nel governo Conte che da comandante provinciale del Corpo forestale di Napoli e poi regionale ha condotto in prima persona importanti inchieste legate ai disastri ambientali avvenuti nella Terra dei fuochi. «È un Natale amaro per tutte le vittime, le loro famiglie che hanno patito tremende sofferenze, e per chi si è battuto, rischiando la vita, per la giustizia e la tutela della salute e dell’ambiente. Abbiamo tutto il diritto di sapere come sia potuto accadere. Serve un’indagine interna e, come Movimento 5 Stelle, interrogheremo il ministro competente. Un cavillo o una distrazione non possono compromettere decenni di lotte». Anche il vicepresidente della commissione parlamentare Ecomafie, Francesco Emilio Borrelli, chiede al governo di intervenire. «Il Tribunale – ha detto, intervenendo alla Camera dei deputati, Borrelli – ha emesso la sentenza per il sequestro dei beni con grave ritardo, ed ora la Cassazione deve decidere il da farsi. Io chiedo che il governo intervenga in qualsiasi modo affinché sia resa impossibile la restituzione ai Pellini del patrimonio confiscato di oltre 200 milioni di euro, che deve essere utilizzato per risarcire le vittime e bonificare i territori inquinati. Soldi guadagnati facendo ammalare e morire la gente, e devastando l’ambiente. Se riottenessero i soldi, sarebbe un segnale devastante per il Paese e per la lotta ai crimini ambientali».
Alessandro Cannavacciuolo, portavoce dei Volontari antiroghi Acerra, uno dei comitati della Terra dei Fuochi, ha seguito la vicenda fin da quando, già in appello, cominciò ad affacciarsi la possibilità che i Pellini riottenessero i loro beni. Con gli altri attivisti manifestò davanti al tribunale di Napoli perché fosse scongiurato il rischio della mancata confisca. «Una cosa dev’essere chiara: questi sono soldi e beni guadagnati sulla pelle del nostro territorio – dice l’attivista acerrano –. Non siamo noi a dirlo: lo dicono le stesse sentenze definitive che hanno dichiarato i Pellini colpevoli di disastro ambientale». Cannavacciuolo non si è fermato qui. Secondo lui, i Pellini continuerebbero, attraverso dei prestanome e con soldi sfuggiti alla confisca, a operare nel settore dei rifiuti e in quello immobiliare. Addirittura sarebbero entrati, attraverso una società intestata a un parente di uno di loro ma di fatto a lui riconducibile, nella bonifica di una discarica del Beneventano. Proprio in seguito alla denuncia degli attivisti della Terra dei fuochi, è partito un processo che dovrà far luce su questa vicenda. I Volontari antiroghi di Acerra chiedono chiarezza anche sui motivi per cui la Corte d’appello di Napoli ha sforato i tempi previsti per esprimersi sulla confisca ai Pellini.
Lo hanno fatto attraverso un esposto alla procura di Napoli – guidata da pochi mesi da Nicola Gratteri, che hanno incontrato domenica scorsa –, nel quale chiedono di accertare i motivi che hanno portato i giudici della Corte d’appello di Napoli a esprimersi in ritardo sui tempi previsti. Intanto, nell’ultima udienza di mercoledì scorso, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Luigi Giordano, si è espresso a favore della tesi dei Pellini e dei loro legali. «Si chiede che la Corte di Cassazione annulli il provvedimento impugnato, con i provvedimenti consequenziali», ha detto il magistrato in quella occasione. Ma gli attivisti vedono di buon occhio il fatto che i giudici chiamati a pronunciarsi abbiano preso ulteriore tempo: la sentenza, infatti, era attesa subito a ridosso di quell’udienza.
Inoltre, a far sperare i Volontari antiroghi e tutti quelli che in questi anni si sono battuti per la verità sullo scempio ambientale avvenuto nella Terra dei fuochi è proprio una sentenza della Cassazione del 2020, che dichiara legittimo il provvedimento del giudice di appello che giustifichi la proroga del termine di efficacia della confisca nel caso in cui il patrimonio in questione è particolarmente consistente e alto il numero delle questioni sollevate con l’impugnazione e gli accertamenti sollecitati da chi presenta ricorso.

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