mercoledì 12 agosto 2009
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Ricorso «non dotato di sufficiente consistenza», anche perché «non si rinvengono i profili di pregiudizio grave e irreparabile» sollevati dai ricorrenti. In questo modo il Consiglio di Stato nel 2007 accolse l’appello del ministero della Pubblica Istruzione contro la sentenza del Tar del Lazio che già prendeva nel mirino «istruzioni e modalità per lo svolgimento degli esami di Stato» nella parte relativa all’insegnamento della religione cattolica. Una sentenza (2920 del 12 giugno 2007) che permise di riprendere fiato alle migliaia di studenti che con la precedente sentenza del Tar avevano visto privarsi del credito dell’insegnamento che avevano seguito durante l’anno. Allora, come oggi, fu lo stesso cartello di associazioni, gruppi e organizzazioni religiose a presentare il ricorso. A distanza di due anni ci risiamo e ancora una volta il Tar del Lazio accoglie il ricorso del variegato cartello di ricorrenti. Ma la questione era già stata sollevata da altri ricorsi amministrativi che avevano tentato di negare valore determinante al voto dell’insegnante di religione nello scrutinio finale. Molti tentativi, che fino all’altro giorno, avevano comunque portato a un orientamento giurisprudenziale che invece riconosce all’insegnante piena partecipazione alla determinazione della maggioranza deliberante, con l’unico onere di dover motivare il proprio voto nel verbale. La prima sentenza a sancirlo nel 1994 venne da un altro Tar, quello della Puglia. Un decennio dopo si è pronunciato anche il Consiglio di Stato (sezione VI, ordinanza 5822 del 3-12-2004), riconoscendo che il voto dell’insegnante di religione non può perdere la sua rilevanza ai fini della valutazione finale.
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