È un taglio con correzioni
in extremis, ma pur sempre affilato e corposo, quello approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che ha dato il via libera definitivo al decreto legislativo di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con un
blitz agostano che incassa l’apprezzamento di Confindustria, ma suscita ire e mugugni fra le forze politiche. Secondo una nota diffusa al termine del Cdm, il decreto prevede la soppressione di tutte le 220 sedi distaccate di tribunale e l’accorpamento di 31 tribunali e di 31 procure: dalla "A" di Acqui Terme, che verrà accorpata ad Alessandria, fino alla "V" di Vigevano e Voghera, che finiranno insieme a Pavia. Una sforbiciata della quale il Guardasigilli Paola Severino rivendica la necessità, precisando come la soppressione di tutte le sezioni distaccate sia stata confermata «nonostante le richieste di mantenimento di alcune di esse, poiché l’esperienza sin qui fatta dimostra che si tratta di un modello organizzativo precario ed inefficiente sotto il profilo della produttività e della carenza di specializzazione con un impiego di risorse spropositato rispetto alle esigenze».La road map che porterà concretamente alla revisione delle piante organiche e alla chiusura delle sedi (alcune già fra 12 mesi, altre al massimo fra 5 anni) potrebbe essere oggetto già del prossimo Cdm, il 24 agosto. Intanto, il decreto dispone anche la soppressione di 667 uffici di giudici di pace, mantenendo però, rispetto alla previsione iniziale, un giudice di prossimità in sette isole (Ischia, Capri, Lipari, Elba, La Maddalena, Procida, Pantelleria), tenendo conto della difficoltà di collegamenti. In seguito ai tagli, fanno sapere i tecnici del dicastero di via Arenula, il bilancio dello Stato risparmierà «50 milioni di euro per tribunali e sezioni distaccate, ai quali vanno aggiunti altri 28 milioni per i giudici di pace». Calcoli presumibilmente basati sulle proiezioni dei minori costi di gestione delle strutture in seguito agli accorpamenti visto che, rassicurano al ministero, il decreto non prevede «alcun esubero né messa in mobilità» del personale amministrativo e dei magistrati delle sedi soppresse, che saranno «redistribuiti sul territorio».Il Guardasigilli precisa di aver letto con attenzione i pareri del Csm e delle Commissioni parlamentari, registrando «posizioni diversificate» e decidendo pertanto di «valorizzare» almeno «una comune linea direttrice», per non indebolire il contrasto a cosa nostra, ’ndrangheta e camorra in zone di prima linea: «Il governo ha deciso di mantenere i presidi giudiziari nelle aree ad alta infiltrazione di criminalità organizzata (Caltagirone e Sciacca in Sicilia; Castrovillari cui sarà accorpato il tribunale di Rossano, Lamezia Terme e Paola in Calabria; Cassino cui sarà accorpata la sezione distaccata di Gaeta nel Lazio) e di dotare di un ufficio di Procura anche il tribunale di Napoli nord». Insomma, ribadisce il ministro, nella lotta alla mafia «il governo non intende in alcun modo arretrare, neanche sul piano simbolico».La decisione del governo Monti viene salutata con favore da Confindustria: è «una riforma attesa da anni» e «un passaggio essenziale per rendere più efficiente il nostro sistema giudiziario», perché «consentirà di allocare in modo più razionale le risorse esistenti e incrementare il livello di specializzazione dei magistrati». Ma i contenuti del decreto e il metodo risultano indigesti alle forze politiche, che parlano di decisione «scorretta». Nel Pdl, Maurizio Gasparri, attraverso
Twitter, definisce «arrogante» e «penoso l’operato della Severino» che «va cacciata». Duri anche Lucio Malan («Il Governo ha in gran parte disatteso i pareri votati quasi all’unanimità da Camera e Senato. Un atto di straordinaria arroganza, che il Parlamento ha il dovere di rovesciare con un provvedimento
ad hoc») ed Enrico Costa: «Tagli incommentabili, che umiliano il Nord». Alla
querelle geografica non si sottrae la Lega: «È un governo a trazione meridionale, che privilegia il Sud a danno del Nord, salvando sei tribunali tra Calabria, Sicilia e Lazio», attaccano Nicola Molteni e Roberto Calderoli. Nel Pd c’è chi s’infuria per singole scelte («Il ministro Severino si vergogni. Non doveva sopprimere Pinerolo», tuona Giorgio Merlo, piemontese doc) e chi, come Donatella Ferranti, si rammarica «che il governo non abbia inteso recepire altre indicazioni, frutto d’indagini conoscitive in Commissione». Tutte resistenze che il Guardasigilli e l’esecutivo di Monti avevano messo in conto, se non nei toni almeno nei contenuti, e con le quali dovranno fare i conti a settembre.