Che la posizione degli Spedali Civili di Brescia nella vicenda Stamina sia scomoda, ormai è chiaro. Bastino quegli otto nomi di operatori dell’ospedale iscritti nel registro degli indagati a Torino, per l’inchiesta ormai in fase di chiusura e di cui si saprà nell’anno nuovo. Ma nel caso Vannoni ai colpi di scena non c’è limite ed ecco ieri spuntare le ennesime carte, pronte a ribaltare di nuovo tutto. Già, perché la struttura di Brescia – l’ospedale pubblico che il metodo Stamina accoglie e infonde ai pazienti ormai dal 2011 – ora dalla sbarra torna all’accusa. Con le cartelle cliniche dei pazienti innanzitutto, su cui erano trapelate notizie già la settimana scorsa: nella documentazione inviata agli esperti del Comitato ministeriale dall’ospedale l’estate scorsa – 36 schede di sintesi delle condizioni dei pazienti – di fatto non esiste alcuna prova di miglioramenti reali nei malati sottoposti al trattamento. Ma nella documentazione bresciana, pubblicata per la prima volta integralmente, c’è molto di più: «La vicenda Stamina si sta evolvendo al di fuori di ogni regola, precludendo ogni possibilità di controllo da parte delle autorità sanitarie», spiegano dall’ospedale. Il timore più grande degli esperti bresciani è in particolare che «ove si prevedesse in modo generalizzato che le cellule di un donatore vengano utilizzate anche per pazienti diversi da quello per il quale è stata effettuata la donazione, si consentirebbe a Stamina di ottenere, gratuitamente e a carico del Servizio sanitario, quel risultato che in passato cercava di ottenere dietro pagamento di una somma (7 mila-8 mila euro)». In pratica, incalzano gli Spedali Civili, «si verrebbe a creare una sorta di “banca delle cellule” la cui gestione di fatto farebbe capo a Stamina e ai medici che con questa collaborano». A spese pubbliche.
Un tentativo di forzare la legge e tutte le regole della prassi scientifica che per assurdo – questa l’accusa gravissima di Brescia – sarebbe avallato dalle stesse autorità giudiziarie. Come? «Il giudice ordina le cure sulla base della prescrizione di un medico (spesso il dottor Andolina, che talvolta nemmeno vede il paziente), senza procedere a una verifica circa la sussistenza dei presupposti clinico-scientifici richiesti». E ancora: «Il giudice legittima l’utilizzo generalizzato di cellule di diversi donatori. In pratica, di fatto legalizza un’attività di bancaggio delle cellule». E poi «legittima la somministrazione del trattamento a favore di un certo paziente, in deroga alla lista d’attesa». Gli Spedali citano anche due pronunce: quella dell’Aquila dell’11 dicembre scorso sulla piccola Noemi e quella di Asti. E poi ricordano la sentenza della Corte costituzionale che sul caso Di Bella chiarì «di non essere chiamata a sostituire il proprio giudizio alle valutazioni che, secondo legge, devono essere assunte dagli organi tecnico scientifici». Una sentenza evidentemente dimenticata dai giudici del lavoro intervenuti su Stamina.