A che punto è la guerra al terrorismo di matrice jihadista? Come gestire il ritorno in Europa dei foreign fighters e delle loro famiglie? E, soprattutto, come difendersi da chi ancora semina il terrore nelle nostre città? In altre parole: "Isis: è finita?" Eì questo il titolo dell'eccezionale reportage di Amedeo Ricucci, con fotografia di Simone Bianchi e Michele Cristofoletti e il montaggio di Marco De Luise, che RaiUno manda in onda domani sera (domenica 10 giugno) alle 23,30.
Un'inchiesta sul campo che ha richiesto settimane di lavoro e mostra, con la forza delle testimonianze, l'ampiezza delle analisi e l'intelligenza della migliore narrazione giornalistica, come la sconfitta dello stato islamico e della sua forza simbolica non sia affatto dietro l'angolo.
Nonostante le pesanti perdite militari subite sul terreno, l’Isis resta un incubo dal quale l’Europa e il mondo intero non si sono ancora liberati. La minaccia jihadista, infatti, ha solo cambiato pelle e nel reportage Ricucci - fra l'altro girato in Iraq, Libano, Francia e Italia – tutti i maggiori analisti sottolineano come il Daesh sia tornato a fare quello che sa fare meglio: guerriglia e terrorismo. Pochi come Ricucci sanno raccontare sul piccolo schermo le contraddizioni e le falsificazioni politico-mediatiche. Dalla stabilizzazione libica, annunciata come imminente un anno fa e già allora smentita da "L'imbroglio", un approfondimento di Ricucci che metteva in guardia dalle facili rassicurazioni, come la storia sta purtroppo dimostrando; fino agli interrogativi sulla metamorfosi del Califfato. E’ una fase assai delicata: non solo perché le radici del fenomeno non sono ancora state estirpate, ma anche perché senza una effettiva riconciliazione con la comunità sunnita che ha partorito il Califfato, senza equità nei processi a carico dei miliziani catturati e senza poter garantire il ritorno a casa delle loro famiglie, c’è il rischio che la bandiera del jihad, la guerra santa, non venga mai ammainata.
Pur senza alcuna concessione alle crudeltà che piacciono ai fanatici dello share, il reportage ci porta tra le macerie di Mosul, l’ex capitale dello Stato Islamico, dove la vita stenta a riprendere perché la sicurezza è ancora incerta. Uno dei testimoni, armato di una pala malconcia, spiega che ci vorranno almeno due anni solo per rimuovere le macerie. La ricostruzione è una chimera. E tra le rovine affiorano teschi e resti umani che fanno della città una gigantesca e spettrale fossa comune. Ricucci, che in Siria era stato prigioniero proprio di una milizia islamista, si spinge fino a raccontare la triste condizione delle famiglie dei mujaheddin, che trascinano le loro vite nei campi di prigionia allestiti dall'autorità irachena; affronta la realtà dei processi penali in corso in Iraq e Siria ai jihadisti catturati; arriva n Francia, terra che ha sofferto più di altri l'odio ispirato dal Califfato, per accendere i riflettori sullo spinoso problema del ritorno a casa delle famiglie dei miliziani "made in Europe"; e si occupa infine del controverso problema della de-radicalizzazione, passando in rassegna i vari esperimenti tentati dai Paesi occidentali. Una pagina di servizio pubblico che non passerà inosservata e che all'ascoltatore farà domandare davvero: "Isis: è finita?"