Nel villaggio di Bisgè, in Burkina Faso, le donne dovevano percorrere molti chilometri con grandi taniche sulla testa per andare nel più vicino rifornimento idrico a raccogliere l’acqua per vivere, nutrire gli animali, lavarsi. Quando dopo giorni di trivellazioni dalla terra accanto alle proprie case è iniziato a fuoriuscire oro blu, i loro occhi non volevano credere a quel dono appena ricevuto. Nel sud del mondo l’acqua è preziosa più del petrolio. E se, oltre a un pozzo, la comunità ha dei papà che ci lavorano permettendo così alla propria famiglia di poter abitare lì e al villaggio di avere la fonte di sostentamento primaria, allora il traguardo raggiunto è doppio. Fontane, scuole, allevamenti di bestiame gestiti dagli stessi capifamiglia, che così hanno un reddito per mandare i figli a scuola. La campagna
Adotta un papà è originale proprio per questo; il sostegno a distanza, ormai al decimo anno, promosso dal Comitato di collegamento di cattolici per una civiltà dell’amore, infatti, invece che garantire generi di prima necessità o materiale scolastico paga lo stipendio a un
pater familias, che potrà così sfamare tutti i componenti della sua casa, rimanendo nella sua terra d’origine e partecipando alla crescita dell’economia locale. Appena venticinque euro di salario settimanale, perciò, riescono ad allontanare lo spettro di dover emigrare altrove per avere una vita migliore. Nell’edizione 2011, lanciata proprio alla vigilia della Festa del papà (con
testimonial d’eccezione Giovanni Paolo II, che nel 2001 incoraggiò la campagna), si parte dai risultati ottenuti nell’ultimo anno. Quasi ottanta papà nel Sahel hanno avuto la possibilità di lavorare per oltre venti settimane (in totale più di mille e cinquecento paghe ai capifamiglia) e sono stati realizzati cinque micro-imprese nelle comunità o impianti di irrigazione. Trecento quaranta micro-progetti solo nel 2010 che spaziano dall’alimentazione, alle opere sociali, all’istruzione. È così a Baibokoum, in Ciad, nelle scuole gestite dalla suore Francescane Angeline, dove dal 2006 sette maestri locali vengono sostenuti proprio dall’adozione a distanza. Qui, nel cuore del continente nero, la regione più povera al mondo, la metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.Un mulino, una banca dei cereali, una condotta di irrigazione, una "casa dei ragazzi" per farli studiare o avviarli all’artigianato, pochi capi di bestiame da allevare che diano latte e carne per la comunità; ogni piccolo progetto che possa portare occupazione nei villaggi, insomma. «Adotta un papà non è un vitalizio, ma un accompagnamento duraturo nel tempo - sottolinea il segretario nazionale del Comitato di collegamento di cattolici per una civiltà dell’amore, Giuseppe Rotunno - piccole gocce che però fanno fiorire il deserto, che danno un futuro economico e culturale a questi Paesi senza costringere a forzate migrazioni». A pagare i conti della globalizzazione, difatti, sono proprio le nazioni del sud del mondo; l’aiuto tuttavia non deve essere orientato alla beneficenza, ma alla sussidiarietà. Padre Giulio Albanese, missionario comboniano e direttore di Misna (Missionary Service News Agency), ricorda appunto come «l’informazione corretta sia la prima forma di fratellanza per questi Stati che non sono poveri, ma impoveriti» e per creare la vera «cultura della solidarietà».