venerdì 2 dicembre 2011
​Università Cattolica e il colosso Nintendo insieme per un corso gratuito: «Così si impara a comunicare con i figli, insegnando loro il senso critico»
Videogiocando s'impara a diventare mamme digitali di Giuseppe Romano
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E se anche giocare con la Nintendo fosse un’occasione per allenare il rapporto con i nostri figli? Se proprio quella console, così amata dai bambini e temuta dai genitori diventasse un oggetto da condividere per rafforzare la comunicazione? La provocazione viene lanciata dallo Spaee, Servizio di psicologia dell’apprendimento e dell’educazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e da Nintendo Italia con un corso gratuito dedicato alle mamme: "Videogiochi e mamme: mi intendo di Nintendo (ds)?! - La gestione del rapporto tra videogiochi e figli", un progetto pilota che è partito ieri a Milano presso la Mediateca di Santa Teresa, proseguirà martedì prossimo e toccherà altre città italiane.Perché le mamme, si sa, in fatto di videogiochi sono sempre in preda all’ansia e alla confusione. «Ma non farà male a mio figlio?». E ancora: «Non saranno violenti i contenuti?». Troppe paure e ancora tante idee sbagliate sul mondo dei videogames secondo i produttori, ed ecco allora l’iniziativa maturata con l’ateneo milanese: indicare attraverso degli incontri di formazione una cultura del “videogiocare” consapevole, proponendo ai genitori strumenti per intervenire. «La consapevolezza infatti è il mezzo più efficace per affrontare quel mondo complesso dell’intrattenimento virtuale che tanto coinvolge i nostri figli – spiega Manuela Cantoia, docente di psicologia generale alla Cattolica ma anche mamma di due bambini di 7 e 10 anni, appassionati di passatempi elettronici –. Anch’io ho voluto affiancarmi ai miei figli durante i loro momenti di gioco e mi sono resa conto che solo conoscendo bene gli strumenti utilizzati quotidianamente si può imparare a distinguerne le diverse tipologie, avere chiarezza sui loro effetti, fare acquisti mirati e sicuri».Ecco perché mamme e papà non possono subire passivamente il dominio di questi mezzi informatici, ma neanche limitarsi a vietarne l’uso. Devono piuttosto cercare di percorrere la strada dell’educazione al senso critico e all’autoregolazione. Nella maggior parte dei casi infatti il problema non è nel gioco in sé, quanto nelle modalità e nei tempi di utilizzo. «Che traducendo in regole pratiche – continua la Cantoia – significa concedere l’uso della console per non più di un’ora al giorno ai più grandicelli e solo mezz’ora ai piccolini». Richiamo quanto mai necessario se si pensa che secondo gli ultimi dati di Aesvi, Associazione editori software video ludico italiana, a cimentarsi con giochi non adeguati alla loro età sono il 74% dei giovanissimi fra i nove e i tredici anni mentre più del 50% dei bimbi più piccoli l’ha fatto almeno una volta.
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