L’affetto dei napoletani non è venuto meno, il rispetto delle istituzioni è fermo, ma ai magistrati della procura di Perugia, che lo accusano di corruzione, bisogna rispondere e il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, lo farà in settimana, probabilmente in una sede neutrale. Ma ha voluto anticipare quanto esporrà ai magistrati, sinceramente e semplicemente, in una “Lettera alla città” poiché «fondamento di ogni speranza è la verità e la verifica più impegnativa riguarda il legame di un vescovo con la sua gente», ha sottolineato nel documento letto ieri in arcivescovado. «Ho fatto tutto secondo le regole, nella massima trasparenza, vado avanti sereno, accetto la croce e perdono dal profondo del cuore quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi» ha dichiarato. Fiducioso Bruno von Arx, legale del cardinale: «Nulla di penalmente rilevante. Ho l’impressione che sarà una difesa poco impegnativa perché mancano gli elementi per ipotizzare la corruzione: qui si confondono tempi e circostanze».Rivolgendosi alla Chiesa, ai fedeli e alla comunità, l’arcivescovo di Napoli ha quindi spiegato gli episodi che gli vengono contestati in qualità di Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, dal 2001 al 2006, per la la gestione del patrimonio immobiliare. Patrimonio che, ha precisato, «ho cercato di inventariare, recuperare e valorizzare per rispetto a quanti nel tempo ne sono stati i donatori e per tutelare le finalità rappresentate dal sostegno alle attività missionarie nei Paesi più poveri e dimenticati della terra».Il primo dei rilievi mossi al cardinale Sepe riguarda la concessione in uso dell’alloggio in via Giulia a Guido Bertolaso «la cui esigenza – ha raccontato il presule confermando la versione del capo della Protezione civile – mi venne rappresentata dal dottor Francesco Silvano. In prima istanza gli feci avere ospitalità presso il seminario, ma c’era una inconciliabilità degli orari, per cui incaricai lo stesso Silvano di trovare altra soluzione della quale non mi sono più occupato, né sono venuto a conoscenza, sia in ordine all’ubicazione, sia in ordine alle intese e alle modalità». Il secondo caso riguarda la vendita, secondo i magistrati a prezzo di favore, nel 2004 all’allora ministro per le infrastrutture Pietro Lunardi, di un palazzetto in via dei Prefetti, a Roma. Il cardinale ha spiegato come l’immobile presentasse da tempo «segni di vecchiaia e di precarietà», ma i lavori sarebbero stati troppo gravosi per la Congregazione, «per cui venne presa in considerazione l’opportunità della vendita ponendo a carico del futuro acquirente l’onere della ristrutturazione. Solo successivamente mi fu riferito che l’onorevole Lunardi aveva espresso il proprio interesse. La somma venne trasferita all’Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica (Apsa), perché fosse destinata a tutta l’attività missionaria nel mondo». Il terzo episodio su cui i magistrati gli muovono addebiti riguarda i lavori di messa in sicurezza statica di un lato del palazzo di Propaganda Fide in Piazza di Spagna a Roma che, ha sottolineato il cardinale, «aveva subìto una modificazione strutturale causata da infiltrazioni di acqua e dalle continue vibrazioni della vicina metropolitana. Fu accertata – ha precisato – la competenza dello Stato Italiano e furono eseguiti i lavori di ripristino e ristrutturazione con onere parzialmente a carico della Pubblica Amministrazione». A chiusura della lettera il cardinale ha aggiunto: «Accolgo la prova che oggi mi tocca, ma accanto ad essa avverto la forza di una serenità che non può nascere a caso, maturata via via attraverso i passaggi che da sacerdote mi hanno condotto all’ordinazione episcopale».