Il giovane profugo, arrivato in Italia con un barcone, è stato ospite del centro di accoglienza dell’associazione “Don Bosco” di Aidone, in provincia di Enna. È diventato mediatore culturale e ha deciso di tornare nel suo Paese per favorirne lo sviluppo Il senegalese Seny Diallo con tre amici
È un viaggio come tanti altri, quello intrapreso da Seny Diallo, giovane senegalese arrivato in Italia sei anni fa. Partenza da Tambacounda, nel sud del Paese, tappe in Mali, Niger e Mauritania, poi la traversata in barcone dalla Libia, il salvataggio in alto mare da parte di una motovedetta italiana, l’arrivo a Lampedusa, e dopo una settimana il trasferimento al centro di accoglienza di Aidone, in provincia di Enna, gestito dall’associazione “Don Bosco 2000”, una realtà animata da laici salesiani.
Ma Seny ha fatto un altro viaggio meno consueto: quello di ritorno a Tambacounda, l’anno scorso, come protagonista di un progetto di cooperazione circolare, per costruire un pezzo di futuro per sé e per la sua terra. Terra arida, scarsamente popolata, dove per coltivare si usano ancora il mulo e l’aratro, i rendimenti agricoli sono scarsi e il futuro per i giovani non promette niente di buono. Ma Seny non poteva rassegnarsi a un destino tanto avaro, per questo ha tentato l’avventura oltremare, ha messo a frutto i suoi talenti – tra cui una spiccata propensione per le lingue –, è diventato mediatore culturale e insieme agli amici salesiani incontrati in Sicilia ha dato vita a questo progetto, piccolo nelle dimensioni ma importante per le prospettive che fa intravedere. E che realizza nei fatti uno slogan – “aiutiamoli a casa loro” – molto sbandierato e poco praticato.
Nella regione di Tambacounda ha portato le conoscenze in campo agricolo e tecnologico apprese durante il percorso di formazione in Italia, e insieme ad alcuni giovani connazionali ha avviato alcuni orti attrezzati con pannelli solari e impianti di irrigazione a goccia per consentire una produzione che non si limiti ai quattro mesi della stagione delle piogge ma si estenda a tutto l’arco dell’anno.
Il progetto comprende anche lo sviluppo di attività che valorizzino l’artigianato locale e la proposta di circuiti turistici, e sta trovando applicazione anche in Gambia. «Ho avuto amici che sono morti durante i trasferimenti nel deserto o nella traversata del Mediterraneo, il loro sogno di un futuro migliore si è trasformato in un incubo – racconta Seny, che trascorre alcuni mesi in Senegal alternati a brevi soggiorni in Italia per continuare la formazione –. Iniziative come questa propongono una alternativa alla migrazione, permettono di avviare esperienze di microimprenditorialità che producono reddito e danno speranza ai giovani, li inducono a restare nel loro Paese».
«In questo modo i migranti trasferiscono nei Paesi di origine le competenze apprese in Italia ed entrano in un ciclo di “andata e ritorno” in cui diventano protagonisti di una cooperazione circolare – spiega Agostino Sella, presidente dell’Associazione Don Bosco 2000 che gestisce alcuni centri di accoglienza per migranti in Sicilia –. Per noi laici salesiani è un modo per tenere viva oggi l’eredità di don Bosco, un uomo che trovava sempre il modo per rispondere alle urgenze del suo tempo». E così è accaduto che Seny ha conosciuto il carisma salesiano attraverso i volti di Agostino e dei volontari che collaborano nelle iniziative di accoglienza e integrazione. «Incontrandoli, ho capito che don Bosco era un uomo di Dio perché aveva uno sguardo pieno di amore verso chi incontrava, e si chiedeva cosa poteva fare per accogliere il suo bisogno. Io, musulmano, lo rivedo oggi nei volti degli amici cristiani che seguono il suo esempio e mi stanno accompagnando in un cammino che valorizza le mie capacità e mi aiuta a dare futuro alla mia terra».