Non fu solo il terremoto a uccidere. Carenze e imperizie hanno fatto crollare la Casa dello Studente quella notte. Non sono tanto le quattro condanne e un risarcimento milionario a far scendere le lacrime sui volti nel sentire la sentenza che dà ragione a una tenace battaglia di civiltà. Per ore i familiari delle otto vittime hanno aspettato in silenzio fuori dall’aula del tribunale dell’Aquila, di tanto in tanto una carezza e un abbraccio per allentare la tensione. Poi, a mani giunte, la lettura di verdetto. Lacrime e rabbia, ora, perché nulla riporterà i loro ragazzi in vita. La sentenza di primo grado di uno dei filoni d’inchiesta più delicati del post terremoto arriva dopo due anni e mezzo di udienze e quasi tre ore di camera di consiglio, in un’aula di tribunale gremita. Colpevoli di non aver adeguato il palazzo alle norme antisismiche nei lavori di ristrutturazione con cui ne hanno appesantito i carichi verticali. Accogliendo in toto le richieste del pm, il giudice ha condannato a quattro anni di reclusione i tre tecnici che nel 2000 resero la Casa dello Studente un alloggio universitario. I loro progetti e calcoli, collaudati solo sulla carta, cioè, non tennero conto delle norme allora in vigore. Il peso dei tramezzi per realizzare camere singole con bagno, la parete antincendio Rei, che ha amplificato il crollo, hanno così fatto collassare l’ala dell’edificio di via XX Settembre sotto le sollecitazioni del sisma. Due anni e sei mesi, invece, per il tecnico dell’Azienda per il diritto allo studio universitario, l’ente gestore dello studentato, per non aver controllato l’adeguatezza di quegli interventi che hanno reso la Casa dello Studente «un castello di carte». In più una provvisionale di due milioni di euro e, per tutti, l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Ma ci sono anche quattro assoluzioni e due non luogo a procedere per gli altri imputati, tutti vertici dell’Adsu e i progettisti che hanno curato gli interventi minori di restauro tra gli anni ’80 e il 2003.Hanno ascoltato il giudice tenendosi per mano in fondo all’aula del tribunale. Seduti uno accanto all’altro, gli occhi bassi. Gli studenti scampati alle macerie prima di venire circondati da genitori e legali hanno solo detto, con un filo di voce: «Una sentenza giusta, degna di uno Stato civile». A parlare per loro a caldo Wania della Vigna, che difende anche i familiari dell’unica vittima straniera, Hussein Hamade. «Siamo soddisfatti – spiega l’avvocato – non importa quante siano le condanne. I ragazzi chiedevano solo di sapere il vero motivo per cui il palazzo è crollato e i genitori di Hussein di comprendere perché hanno perso il figlio». Commozione, ma anche molta rabbia da parte di alcuni parenti dei giovani deceduti che, aspettandosi dieci condanne, hanno definito la «sentenza iniqua». Qualcuno ha anche parlato di «responsabilità morale dell’ateneo aquilano», in realtà mai coinvolto in nessuna fase del processo. «Se avessero chiuso la Casa dello Studente nessuno sarebbe morto – è lo sfogo a fine serata di Annamaria Cialente, madre di Francesco, proprio nel giorno in cui il figlio avrebbe compiuto 28 anni – tutti sapevano da tempo i problemi di stabilità dell’edificio».Per l’intera mattinata il pm ha parlato di «condotta omissiva» dei quattro condannati, dimostrata dalla perizia di oltre mille pagine con cui l’ingegnere Gabriella Mulas ha chiarito le cause del crollo: mala progettazione, per via di un secondo piano seminterrato tombato e uno scheletro inadeguato, unita alla mala ristrutturazione reiterata nei decenni e, anche, al terremoto. Un contributo bollato dalla difesa come «pure ipotesi, solo teorie» di un docente «che invece di un’udienza penale pensa di essere davanti ai suoi allievi».