venerdì 12 febbraio 2010
Aids, tubercolosi, epatite B e C, disagio mentale: sono patologie diffusissime nei penitenziari italiani. Colpa del sovraffollamento e dei ritardi nell’attuazione della riforma, che deve trasferire l’assistenza dalla Giustizia alla Sanità.
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Carceri malate. Aids, tubercolosi, epatite B e C, disagio mentale sono patologie diffusissime nei penitenziari italiani. Colpa del sovraffollamento - oltre 65mila i detenuti con 300 ingressi settimanali - e della riforma sanitaria che stenta ad attuare il passaggio di competenze dalla Giustizia alla Sanità. Occasione per fare il punto sulla salute nelle carceri italiane è il convegno sulla riforma sanitaria in ambiente penitenziario, organizzato a Regina Coeli. «La situazione se non è drammatica è certo molto pesante», spiega Evangelista Sagnelli, presidente della Società italiana di Malattie infettive e tropicali. «Non esistono studi mirati sulle malattie infettive, ma in base a una media nazionale possibile – dice – possiamo dire che circa il 40% dei detenuti è affetto da epatite C, il 6-7% da epatite B, il 2-3% da Hiv». Senza contare le malattie psichiatriche - «che colpiscono circa il 20% dei detenuti» - e le persone «reattive alla tubercolina, tra il 12 e il 16%, che non vuol dire avere la tubercolosi, ma essere comunque sensibili al bacillo».Se lo stato di salute delle carceri è così grave, la colpa è anche di un sistema sanitario inadeguato. A un anno e mezzo dal suo varo, ancora non decolla l’attesa riforma che sposta le competenze dal ministero della Giustizia a quello della Sanità: lentezze burocratiche, trasferimenti a singhiozzo dei fondi dallo Stato alle Regioni e, soprattutto, disparità di trattamenti e disomogeneità sul territorio. Se nelle cinque regioni a statuto speciale la riforma ancora non è partita, perché si attende che le commissioni paritetiche, come richiede lo statuto, votino il trasferimento di competenze, in quelle ordinarie si procede a macchia di leopardo. Il problema più grosso è garantire un trattamento sanitario uguale per tutti, cittadini e detenuti, come spiega Santi Consolo, vice capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria: «Quello che stiamo registrando è una diversità di capacità di risposte delle singole Regioni, con una disparità di mezzi a volte evidente anche tra Asl e Asl».In attesa che il piano carceri del governo dia i suoi frutti, la popolazione carceraria aumenta a ritmi sempre più serrati. L’Osapp, sindacato di polizia penitenziaria, informa che «è passato da 200 a 300 reclusi a settimana (1.300 mensili) l’incremento delle presenze detentive». La rilevazione aggiornata al 10 febbraio indica in 65.720 i detenuti presenti. Il segretario generale Leo Beneduci spiega che «gli incrementi sono andati a pesare su sedi già eccedenti la capienza massima sostenibile: Emilia Romagna (554 detenuti in più), Veneto (+350), Lombardia (+348), Sicilia (+317) e Puglia (+259), a riprova che il sovraffollamento penitenziario oltre che dalle operazioni di polizia e dalle esigenze processuali, è anche frutto di scelte non eccessivamente coerenti nell’Amministrazione penitenziaria».
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