Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, e - a destra - il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni - FOTOGRAMMA
Lontano da curiosità pruriginose o gossippare, l’incredibile (a dir poco) vicenda Sangiuliano-Boccia, la consulente “rinnegata”, dovrebbe aprire comunque una riflessione nella maggioranza su un punto centrale, che sicuramente non è sfuggito all’attenzione della premier Meloni, solitamente molto attenta su questi aspetti: la visione e la gestione della cosa pubblica. Perché è uno straordinario esempio di come essa venga "brutalizzata". Pur volendo credere alla versione del titolare della Cultura - incarico di gran prestigio che di per sé richiederebbe una pari cura, già in passato non mostrata da Sangiuliano con ripetute gaffes che hanno appannato l’immagine del ministro - che nemmeno un euro pubblico sia stato speso (e ci mancherebbe!), sconcerta e lascia disorientati la facilità - o faciloneria - con cui una persona, peraltro da poco tempo conosciuta per ammissione dello stesso Sangiuliano, sia stata subito fatta accomodare nel “circolo” che conta di un dicastero, fino al punto da essere messa a conoscenza di documenti ufficiali di un G7 (così pare, con lei che ha il coraggio - cosa mai vista, a memoria - di controsmentire le smentite accreditate dalla stessa premier in tv). Si fatica assai a cogliere in questa vicenda la meritocrazia di cui tanti politici si riempiono la bocca; vi si scorge più facilmente un tiico approccio “all’italiana”, dove l’esercizio della politica viene piegato a convenienze e utilità personali, qualunque esse siano. Troppo grande sembra il castello di bugie, di reticenze e doppie versioni che girano intorno a questa vicenda. I suoi contorni restano ingombranti e densi di ombre. Se il castello dovesse crollare, saranno rovine. È per questa ragione che al governo si tiene il punto.