lunedì 14 novembre 2011
Il segretario Cei Crociata: «Si ha l’impressione che la parità sia offerta per condividere oneri e non per riconoscere diritti». L’allarme degli istituti del Triveneto che a Roncade hanno radunato tremila rappresentanti di un mondo sempre più penalizzato.
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​«Si ha talvolta l’impressione che la parità sia offerta più per condividere gli oneri, che per riconoscere i diritti». Il vescovo Mariano Crociata non riesce a finire neppure la frase che dall’immenso capannone di Ca’ Tron, nell’aperta campagna trevigiana, scatta un fragoroso applauso da parte del popolo delle paritarie. Sono in tremila, tra studenti, genitori, docenti e gestori. La Conferenza Episcopale del Nordest e le associazioni che hanno organizzato l’appuntamento ne aspettavano 1.200. A centinaia hanno dovuto ritornare sui loro passi perché non erano riusciti neppure a creare un varco nella folla. Centinaia i parroci, una decina i vescovi, in testa il presidente della Cet, Dino De Antoni ed il delegato della Commissione Scuola ed Università, Adriano Tessarollo, con il segretario don Edmondo Lanciarotta. I rappresentanti di Fism, Fidae, Agesc, Cdo, FormaVeneto, Msc fanno il punto della situazione. Alcune parrocchie sono state costrette a chiudere le scuole, altre le stanno inventando proprio tutte per farle sopravvivere. Quest’anno da Roma sono arrivati in Veneto 41 milioni in meno e per il 2012-2013 ci si attende il ripristino, in ambito nazionale, di contributi «almeno a 539 milioni di euro». In sede, ovviamente, di prossima legge di stabilità. Anche perché - come ricorda Crociata - «la presenza delle scuole paritarie, specie dell’infanzia, fa risparmiare ogni anno allo Stato 5,5 miliardi di euro, a fronte di un contributo dell’amministrazione pubblica di poco più di 500 milioni di euro». Il presidente della Cet De Antoni ricorda che la legge 62 del 2000 aveva previsto sovvenzioni, «purtroppo irrilevanti», in leggera crescita tra il 1996 al 2002, «ma da tempo in costante diminuzione». E questo fa sì, sottolinea preoccupato Crociata, che «in Italia la libertà di educazione continui ad essere priva di un’effettiva attuazione».L’affollato auditorium ascolta nel più assoluto silenzio l’analisi di Crociata, che si sofferma anche sul momento politico attuale: «Il momento che il nostro Paese sta attraversando ha carattere di difficoltà straordinaria, non solo nel passaggio istituzionale e politico, ma anche, e per taluni aspetti soprattutto, nelle ricadute sociali ed economiche della crisi. Di queste difficoltà siamo pienamente avvertiti – ha aggiunto – e seguiamo da vicino, con viva apprensione per il bene della nostra gente, gli sviluppi al momento non definiti».Un nuovo applauso scatta quando il segretario dei vescovi ammonisce che «non può essere considerata ragionevole un’ulteriore decurtazione del modestissimo contributo statale alla scuola paritaria», dal momento che le scuole libere di area cattolica consentono allo Stato di non dover provvedere in proprio all’istruzione di oltre un milione di alunni. Decurtazione che, accompagnata ai ritardi, fa temere ad alcune scuole, come ricorda lo stesso Crociata, «di non poter più svolgere il loro compito e quindi di non poter soddisfare le attese di tante famiglie». Siamo nel profondo Nordest, terra di sussidiarietà e federalismo per eccellenza. Il vescovo Crociata ne è consapevole e invita le istituzioni presenti, dallo Stato alle Regioni, ai Comuni, di cogliere l’opportunità del federalismo e dell’autonomia per mettere in sicurezza le scuole e farle crescere in qualità. Anche perché - sottolinea - «la scuola paritaria non vive in contrapposizione o in alternativa alla scuola statale». Anzi, Crociata, facendo sintesi anche delle riflessioni del presidente Cet De Antoni, e del delegato Tessarollo, conclude affermando che «occorre rendere ogni scuola, statale o paritaria, di ispirazione cristiana o di carattere comunale, protagonista del suo stesso rinnovamento e della costante qualificazione di docenti e dirigenti, responsabile dell’inserimento nel tessuto del territorio, capace di accogliere anche alunni di altre fedi e religioni e alunni diversamente abili».
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