sabato 26 novembre 2011
Secondo il Comitato nazionale di bioetica è consigliabile che i genitori rivelino di essere ricorsi a un donatore. Pareri discordanti, invece, su se sia giusto o meno renderne nota anche l’identità anagrafica: «Potrebbe alterare gli equilibri della famiglia d’origine».
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Spetta alla responsabilità morale dei genitori informare sulle proprie origini il figlio concepito attraverso la tecnica di procreazione assistita eterologa, vale a dire grazie a un donatore esterno di gameti. È il giudizio praticamente unanime del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), che nella seduta plenaria di ieri ha approvato – con un solo voto contrario – il parere "Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa", elaborato da Lorenzo d’Avack, vicepresidente vicario del Comitato.Nessun segreto, dunque, sulla modalità del concepimento, che se oggi è vietata nel nostro Paese dalla legge 40, fino al 2004 (anno di entrata in vigore della norma) è stata impiegata nei centri di fecondazione, portando alla nascita di migliaia di bambini. Questi ultimi secondo il Cnb hanno – sicuramente una volta maggiorenni, ma preferibilmente anche prima – «il diritto di accesso alle informazioni sulle proprie origini biologiche». Da dare con attenzione, certo, «attraverso filtri e criteri appropriati» e, nel caso, con l’ausilio di una consulenza anche di tipo psicologico. Ma pur sempre da dare.Diverse, invece, le possibilità espresse dal Comitato circa la completezza delle informazioni in questione. Qui gli esperti si sono divisi tra chi ritiene sia preferibile l’anonimato parziale (cioè l’accesso alle sole informative genetiche), e chi considera doveroso l’accesso a tutte le informative (sia genetiche che anagrafiche). L’opportunità di svelare solo l’identità genetica del donatore, conservando l’anonimato anagrafico, è motivata dalla necessità, per ragioni mediche, di conoscere le proprie origini e dalla inopportunità di conoscere nome e cognome del donatore, «con il quale il nato ha un legame genetico ma non propriamente relazionale». Secondo questo punto di vista, conoscere il proprio genitore biologico potrebbe peraltro avere ripercussioni negative sul nato e sulla sua famiglia. La doverosità di un’informazione completa rispetto al donatore (dunque anche anagrafica) è motivata invece da ragioni di parità e non discriminazione, non potendo impedire solo ai nati da tali tecniche di ricercare le informazioni sui procreatori biologici: tale conoscenza è ritenuta «indispensabile per la ricostruzione della propria identità personale» ed è proprio in questo senso concessa già ai figli “naturali”.Il Cnb non si ferma qui. Ricordano il valore etico (e non giuridico) dei suoi pareri e sottolineando di non voler esprimere alcun giudizio in merito alla tecnica di fecondazione eterologa, ha anche sottolineato la rilevanza dell’istituzione di organismi multidisciplinari che sostengano i soggetti coinvolti nella ricerca delle origini e la necessità che le banche del seme conservino l’identità genetica e anagrafica dei donatori, aggiornando costantemente i dati.<+copyright>
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