Massima fiducia nella magistratura, affinché si faccia piena e totale chiarezza. È la posizione, garantista e insieme ferma, che fonti vicine a Matteo Renzi fanno trapelare al termine di una giornata tesa, all’interno del governo. La tegola arriva dagli atti dell’inchiesta giudiziaria della procura di Firenze: nell’ordinanza di custodia ha portato all’arresto del super manager Ercole Incalza e di altri indagati e scoperchiato un presunto giro di malaffare sulle Grandi opere, affiora infatti con forza pure il nome del ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, esponente di spicco del Nuovo centrodestra e dell’esecutivo. Non appena i contorni della vicenda e il nome di Lupi vengono rilanciati da tv e agenzie, fra il premier e il ministro cala il grande freddo. Finora nessun chiarimento: Renzi, puntualizzano dal suo
entourage, ieri non ha sentito Lupi. E chi è vicino al premier ricorda come lo stesso Incalza dal 31 dicembre non sia più al ministero, su precisa richiesta di Palazzo Chigi, ma operi solo come consulente esterno. Renzi, come aveva fatto intendere sabato a Milano, non si arrende all’idea che l’Expo sia usato come sinonimo di corruzione. Stamani presenzierà a una cerimonia dell’Istituto superiore di Polizia e farà di nuovo riferimento alla lotta alla corruzione e all’etica pubblica. Anche le parole a tarda sera del sottosegretario Graziano Delrio su Lupi («È prematuro trarre conclusioni riguardo la sua posizione al governo») suonano per ora solo come una sospensione del giudizio. Ma monta il pressing dentro il Pd: «Serve chiarezza, in gioco sono l’immagine e la credibilità del nostro paese», incalzano i parlamentari, che col capogruppo in commissione Giustizia, Walter Verini, chiedono che si riferisca al più «presto» in Parlamento. Ieri intanto, con un
timing degno di nota, in Senato è arrivato l’atteso emendamento del governo sul falso in bilancio (soprannominato «Godot » da M5S), necessario per sbloccare l’iter del disegno di legge anticorruzione, da tempo fermo in commissione Giustizia. L’emendamento prevede pene da 1 a 5 anni di reclusione per le società ordinarie, che salgono poi da 3 a 8 per quelle quotate, che immettono titoli sul mercato, o per le banche. La procedibilità a querela è prevista solo per le società di piccola dimensione, non soggette secondo il codice civile a fallimento. Sanzioni pesanti pure per gli amministratori scorretti, con un pagamento dalle 200 alle 600 quote, per indurli a «vigilare meglio al proprio interno ». Dopo l’arrivo dell’emendamento, la commissione Giustizia ha ripreso l’esame del ddl, ma l’approdo in Aula dovrebbe essere rinviato alla prossima settimana. Per il Guardasigilli Andrea Orlando «è un testo, equilibrato, efficace e incisivo, che colma le lacune e può mordere il fenomeno della corruzione». Esulta, con toni lirici, il presidente del Senato Pietro Grasso: «Alleluia, alleluia, finalmente una buona notizia». E non manca un
tweet soddisfatto dello stesso premier: «Contro corruzione proposte governo: pene aumentate e prescrizione raddoppiata. E l’Autorità oggi è legge con presidente Cantone». Proprio il numero uno dell’Anticorruzione è stato ricevuto ieri, insieme agli altri membri dell’Anac, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’inquilino del Quirinale, in ossequio ai doveri di terzietà fissati dalla Costituzione per la massima carica repubblicana, non può e non vuole intervenire nell’iter della legge, ma non manca di osservare con interesse le vicende parlamentari e quelle più generali del Paese. E l’incontro con Raffaele Cantone e con la sua squadra, nel rispetto delle forme previste dal protocollo del Quirinale, può essergli stato utile per avere un quadro aggiornato del contrasto alla velenosa malapianta della corruzione.