Sono ore pesanti a Palazzo Chigi. Rientrato dal Quirinale, Giuseppe Conte sente intorno un’aria depressa. Le dimissioni non erano il suo «piano A», ma non sono il preludio di una sconfitta. Intorno a lui, l’incitazione a lanciare un segnale pubblico. Si vocifera di un videomessaggio, addirittura di una conferenza stampa. Propositi che il premier in persona declina, consapevole che si sarebbe trattato di uno strappo troppo forte.
Lui ora è il premier dimissionario, nient’altro. L’anomalo braccio di ferro con i suoi comunicatori che lo spingono a «battere un colpo» trova un punto di caduta in un post serale sui social network che tiene fede allo stato dell’arte - le dimissioni, la fine ufficiale del Conte II, l’assenza di una maggioranza solida alle Camere - e al contempo rilancia senza però fare pressione sul Colle.
«La settimana scorsa - spiega Conte - il governo ha ottenuto la maggioranza assoluta alla Camera e la maggioranza relativa al Senato. Il Paese, tuttavia, sta attraversando un momento davvero molto difficile che richiede una prospettiva chiara e un governo che abbia una maggioranza più ampia e sicura. È il momento, dunque, che emergano in Parlamento le voci che hanno a cuore le sorti della Repubblica».
Le dimissioni, quindi, non sono una resa ma «sono al servizio di questa possibilità: la formazione di un nuovo governo che offra una prospettiva di salvezza nazionale. Serve un’alleanza, nelle forme in cui si potrà diversamente realizzare, di chiara lealtà europeista, per approvare una riforma elettorale di stampo proporzionale e riforme istituzionali e costituzionali, come la sfiducia costruttiva», spiega il premier.
È l’ultimo appello ai «volenterosi». Per ottenere un mandato venerdì o sabato da Mattarella, Conte deve avere numeri saldi senza l’appoggio di Matteo Renzi. Perché Iv andrà al Colle senza indicare un premier. E quindi tocca all’avvocato trovarsi la maggioranza sapendo di non avere un tempo infinito davanti. Se ottenesse l’incarico sabato, Mattarella non potrebbe attendere oltre martedì-mercoledì della prossima settimana.
Conte resta convinto che la via della quarta gamba è l’unica praticabile. Con Renzi è finita. E se lui non riuscisse a diventare autosufficiente, M5s e Pd avrebbero via libera a cercarsi un altro presidente del Consiglio.
Questo l’impegno che gli ha strappato Mattarella: non fare da tappo se le cose andassero male per lui. Questo il senso politico del finale del post: «L’unica cosa che davvero rileva, al di là di chi sarà chiamato a guidare l’Italia, è che la Repubblica possa rialzare la testa. Quanto a me, mi ritroverete sempre, forte e appassionato, a tifare per il nostro Paese».
D’altra parte Conte sa di muoversi davvero su un campo minato ed è consapevole che dovrà guardarsi anche dalle trappole degli “amici”. In serata l’ennesimo rinvio dell’assemblea dei gruppi trasforma M5s in una polveriera. E Conte sa che il sostegno di Pd e M5s è sincero fino a un certo punto e, soprattutto, non può essere eterno.
Ad alimentare le preoccupazioni a Palazzo Chigi sono in particolare le tensioni interne al Movimento, dove iniziano ad affiorare le prime crepe sul suo nome come unico candidato possibile a capo dell’esecutivo. Nella notte, quando la "congiunta" finalmente inizia, più di qualcuno prende le distanze dalla linea ufficiale (compatti al fianco di Conte e aperti a un allargamento della maggioranza, escluso Renzi ma non i renziani). «Siamo davvero convinti che Renzi sia peggio dei vecchi democristiani e dei “volenterosi” che si sta cercando di caricare?», si chiedono alcuni 5 stelle. Interrogativi che sfociano in un affondo: «Siamo nati grillini ma nessuno ci obbliga a morire contiani».
In un momento in cui nessuno si fida dell’altro c’è chi sospetta che dietro a questo fuoco amico possa esserci lo zampino di Luigi Di Maio, che potrebbe trarre vantaggi da un nuovo quadro politico senza l’avvocato sotto le luci dei riflettori. Il ministro degli Esteri, tuttavia, anche ieri ha ribadito pubblicamente il suo sostegno al capo del governo: «Il Movimento 5 stelle rimane il baricentro del Paese e insieme al presidente Giuseppe Conte offriremo il nostro contributo per la stabilità».
È in questo clima di sospetti e veleni a Palazzo Chigi crescono i timori per la strategia di Renzi. Il silenzio alle prime consultazioni, l’asso (Cartabia, Lamorgese...) al secondo giro. «E se Renzi dovesse proporre come premier anime di “sinistra” come Fico o Patuanelli sarebbe dura tenere il punto su Conte», ammettono fonti interne.