venerdì 14 novembre 2008
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Forse una speranza c'è ed è contenuta in un appello a Strasburgo per far rispettare il diritto alla vita in Italia. Non si perde certo d'animo Giuliano Dolce, 80 anni, neurologo di fama internazionale, direttore scientifico del «Sant'Anna» di Crotone e presidente dell'associazione di bioetica Vive. Anzitutto è determinato a denunciare il medico che staccherà il sondino nasogastrico che alimenta Eluana e il direttore sanitario della struttura o dell'Asl che ospiterà la giovane in stato vegetativo «perché negli ospedali pubblici italiani si va per farsi curare, non per venire uccisi». E, insieme a 34 associazioni, annuncia un ricorso alla Corte europea dei diritti umani contro la sentenza che, per la prima volta, autorizza la morte di una cittadina italiana. Professore, dunque assisteremo nei prossimi giorni a un altro calvario come quello dell'americana Terri Schiavo? «Precisamente. Si prospetta purtroppo un'agonia lunga perché Eluana è giovane ed è stata assistita bene in questi anni dalle suore di Lecco. Siamo davanti a una situazione paradossale. Questa persona, che oggi vive senza l'aiuto di farmaci e macchinari, può essere uccisa levandole il sondino che la alimenta. Non c'è accanimento terapeutico su di lei, i sanitari infatti la nutrono come è loro dovere. Invece la magistratura italiana, a dispetto delle convenzioni internazionali, ritiene che nutrire una persona al massimo grado di disabilità sia un atto terapeutico e non un atto dovuto. Ora, per non infliggerle le sofferenze della disidratazione, dovranno sedarla, quindi somministrarle farmaci. Si finirà così con il curarla per farla morire "bene"». Ma questa non è eutanasia, pratica vietata in Italia? «Sì ed è una forma di eutanasia crudele, per giunta, perché prolungata e praticata su una persona indifesa che potrebbe vivere almeno altri 16 anni in stato vegetativo e non su un malato terminale. Che non ha lasciato neppure un ipotetico testamento biologico, facendo sapere che rinuncia volontariamente a ogni forma di alimentazione». Eppure Riccio, l'anestesista che ha aiutato a morire Welby, garantisce che non soffrirà, poiché è priva di coscienza... «E allora ci spieghi perché sedarla e perché i giudici milanesi, nella sentenza dello scorso giugno, hanno prescritto minuziosamente i dettagli da seguire per arrivare alla morte. Già che c'è, questo signore mi spieghi anche come può un medico togliere l'alimentazione a un paziente. Oggi Eluana vive grazie a mille calorie fornitele quotidianamente da un liquido che ha il color del latte e che è ricco di minerali, grassi e zuccheri. Ma se frullassero del cibo e glielo fornissero, potrebbe assumerlo. Morirà di fame e di sete, inutile trovare eufemismi». Qualche tempo fa alla donna, che oggi ha quasi 38 anni, è tornato il ciclo mestruale. Qualcosa sta avvenendo nel suo stato vegetativo? «Scientificamente non vi è alcuna correlazione. Ma è altrettanto vero che generalmente negli stati vegetativi il ciclo ritorna dopo pochi mesi, non ho mai sentito di un ciclo che ritorna dopo quasi 17 anni. È un caso unico, a mia memoria. Significa che qualcosa è successo nell'ipofisi e nell'ipotalamo di Eluana. Questo non vuol dire, però, che potrebbe riprendere coscienza. Avanzo un'ipotesi suggestiva di carattere psicanalitico: non avendo altre forme di comunicazione, forse ha voluto avvertirci con il suo corpo che non vuole morire. Ma è solo l'ipotesi di un vecchio medico che da mezzo secolo sta in corsia accanto a chi vive in stato vegetativo». In questi mesi lei, con tanti altri, si è battuto perché non finisse così. Come ha reagito alla sentenza? «Non è una vittoria, come hanno detto i legali del padre e neppure una sconfitta dell'associazionismo e del mondo medico scientifico contrario a far morire la giovane. La Cassazione non si è pronunciata ed è stata, a mio avviso, una scelta pilatesca dei giudici perché si sono appellati a un vizio di forma. Non è cambiato nulla rispetto allo scorso luglio, il padre poteva decidere di togliere il sondino ieri come potrà farlo domani. Piuttosto, il loro problema è dove trovare un posto "adatto", come dice la sentenza ad ospitare Eluana per morire. Non l'hanno trovato in Lombardia, in Piemonte, neppure nelle regioni laiche come Emilia e Toscana. Siccome si dice che andrà all'ospedale civile di Udine, in Friuli, mi risulta che una struttura pubblica non possa ospitare una persona, un cittadino della Repubblica, per farla morire anziché curarla. Quindi, sono intenzionato a denunciare i sanitari e i dirigenti che permetteranno che la donna muoia. E non è l'unica cosa che faremo». Quali altre iniziative avete progettato? «Oggi stesso presenteremo ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo. Oltre all'associazione Vive, abbiamo il sostegno di 33 realtà tra cui la Federazione nazionale trauma cranico. Abbiamo qualche speranza, i requisiti per accogliere d'urgenza il ricorso ci sono tutti. Non ci illudiamo, ma la Corte europea potrebbe ancora fermare tutto e riaffermare il diritto di questa donna ad essere nutrita». Su cosa si fonda il ricorso? «Noi rappresentiamo chi si prende cura dei 30 mila pazienti in stato vegetativo e riteniamo che con la sentenza di ieri l'Italia abbia violato diversi trattati internazionali. Uno su tutti, la Convenzione Onu sulla disabilità del 2006. Eluana dal punto di vista medico è una persona in stato vegetativo persistente ed è clinicamente guarita, ma in maniera imperfetta ed è affetta da disabilità al massimo grado. La convenzione, sottoscritta dall'Italia un anno fa, le garantisce, in un comma dell'articolo 25, il diritto ad assumere cibo e fluidi. Purtroppo i giudici milanesi ignoravano tutto ciò e anche quelli della Cassazione. Bisogna allora andare fuori dai nostri confini per chiedere di riaffermare il suo diritto alla vita. E anche per tutelare migliaia di persone in stato vegetativo. Perché questa sentenza rischia di fare da apripista ad altre, può mettere migliaia di vite inermi come la sua su un piano inclinato e farle scivolare verso la morte perché un giudice ha stabilito che non sono degne di vivere».
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