martedì 18 dicembre 2012
​Intervista a Stefano Baraldi, prorettore dell'Università Cattolica: «I tagli sono necessari ma le strutture accreditate si sono dimostrate più flessibili ed efficienti del pubblico. Va rimodulata l'offerta».
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Il Lazio rivoluziona la propria offerta sanitaria e anche la Lombardia la riorganizza... ma i tagli finiranno?Inizierei col dire che serve un atto di verità e che di questa verità pochi hanno il coraggio. Già più di 20 anni fa - ricorda Stefano Baraldi, prorettore dell’Università Cattolica e direttore del Centro di Ricerche e Studi in Management Sanitario (Ce.Ri.S.Ma.S.) - l’insostenibilità del nostro sistema pensionistico era “matematicamente” provata: ci sono voluti anni ma è stato riformato. Il sistema sanitario è nelle stesse condizioni della previdenza di allora - una sostenibilità fortemente a rischio - e continuare a nascondercelo rende tutto più difficile.  Secondo l’Aiop tra 2012 e 2014 si taglieranno spese sanitarie per 14 miliardi, la Conferenza delle Regioni parla di 31 per il periodo 2011-2015. La gente si chiede a cosa servano questi sacrifici.A introdurre principi di efficientamento del sistema con l’obiettivo di liberare le risorse necessarie per avere la massima copertura dei nostri bisogni di salute. Tuttavia, fino a quando ci saranno persone che devono spostarsi di regione in regione per potersi curare, ospedali gremiti e ospedali semivuoti, bisognerà continuare a "curare" la sanità italiana. Anche tagliando i piccoli ospedali?Anche. Non si fa a cuor leggero, ma sicuramente a fin di bene. Una cosa è la visione "romantica" dell’ospedale sull’uscio di casa e un’altra l’esigenza di offrire un servizio di qualità: la tecnologia e la medicina corrono e tengono il passo solo le strutture che possono lavorare su una casistica sufficientemente ampia. Quando il nostro Presidente del Consiglio esorta a ripensare il servizio sanitario probabilmente pensa a rimodulare l’offerta creando centri d’eccellenza in aree strategiche del Paese e potenziando i servizi territoriali.Come valuta l’ipotesi di una ri-statalizzazione della sanità?Allo Stato, nelle sue diverse articolazioni (Regioni comprese), dovrebbe restare la definizione delle priorità - cioè quali bisogni devono essere soddisfatti - e delle “regole di sistema” - vale a dire dei meccanismi finanziari - in una prospettiva di medio-lungo periodo, lasciando spazio all’autonomia dei territori nell’ambito delle priorità e delle regole così definite. Purtroppo, contrariamente a quanto accade in altri Paesi, in Italia la cultura della pianificazione non è così diffusa.   Se si dovesse veramente ripensare il servizio sanitario nazionale, quale sarebbe il ruolo della sanità privata?In questi anni le strutture accreditate hanno dimostrato flessibilità ed efficienza, il doppio binario pubblico-privato è dunque un elemento del sistema che potrebbe essere valorizzato di più e meglio. Se opportunamente regolata, la presenza del privato può favorire l’introduzione nel pubblico di modelli organizzativi più flessibili e, nel caso delle strutture religiose, anche la diffusione della cultura dell’accoglienza e della presa in carico del paziente e dei suoi familiari. Come immagina la sanità italiana tra dieci anni?Purtroppo, la rapidità dei cambiamenti sociali ed economici ha ormai reso non più procrastinabile una riforma, della quale infatti tutti parlano anche se non c’è ancora un testo di legge. L’invecchiamento progressivo della popolazione e l’evoluzione inarrestabile delle tecnologie ci obbligano a ipotizzare che la sanità del futuro nascerà se e quando troveremo maggiori risorse, anche al di là dell’intervento pubblico. Non è difficile immaginare che andremo verso un sistema che arriverà a mantenere un livello "solidaristico" per le fasce meno abbienti ma che dovrà comunque chiedere a fasce non marginali della popolazione di provvedere in prima persona, almeno in parte, alle proprie esigenze sanitarie, in base al proprio reddito.«Lo Stato regala troppi servizi ai ricchi, ad esempio servizi sanitari gratuiti a tutti senza distinzione di reddito. Non sarebbe meglio se quei servizi li pagassero, a fronte di una riduzione dell’imposizione fiscale?» Alesina e Giavazzi dixerunt...Non penso a una riforma così radicale. Anche per chi può, lo Stato continuerà ad occuparsi delle tipologie di bisogno che le assicurazioni non coprono. Non c’è infatti alcun fondo integrativo interessato a finanziare la terapia delle malattie rare o determinati servizi socio-assistenziali. Alla politica toccherà la difficile scelta della "rimodulazione" da cui dipenderà anche il livello di civiltà che vorremo mantenere. Non dimentichiamo comunque che graduare l’accesso al Ssn in funzione della capacità contributiva non significa stravolgere la nostra storia ma applicare in sanità lo stesso principio che si usa nella tassazione.In un Servizio sanitario nazionale più privato chi guadagna e chi perde?Posto che non dovrà perderci nessuno, nel senso che il livello "solidaristico" andrà mantenuto, si creerà un nuovo mercato per i fondi integrativi delle assicurazioni, che hanno già iniziato a sondare il terreno. Resta da capire quali tipologie saranno assicurabili e quali saranno effettivamente assicurate, insomma che mercato sarà e che regole avrà. Già oggi alcune categorie dispongono di casse mutue che finanziano le cure in regime di solvenza: già oggi, pagando, è possibile anticipare un intervento oncologico e scegliere il chirurgo che effettuerà l’intervento, diversamente da quel che verrebbe offerto attraverso il Ssn. Senza che nessuno si scandalizzi.
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