Il "frame" che mostra gli ultimi minuti di vita di Saman - Ansa
Sarebbe stato lo zio Danish, d’accordo con gli altri maschi adulti della famiglia, l’esecutore materiale del delitto: i cugini Ikram e Nomanhulaq hanno tenuto ferma Saman per non farla scappare e lui l’avrebbe strangolata con una corda. Il corpo della 18enne pachistana sarebbe stato poi sezionato, infilato in un sacco e trasportato, con l’aiuto di un misterioso “quarto uomo” in bicicletta, sulla riva del Po, dove sarebbe stato gettato. All’aggressione mortale avrebbero assistito i genitori della vittima, Shabbar e Nazia, la quale, in preda a una crisi di pianto, sa-rebbe stata allontanata dal marito. Del gruppo criminale avrebbe fatto parte quindi un personaggio ancora senza volto, forse legato alla comunità del Gujrat residente a Novellara, dove l’omicidio è maturato. L’uccisione sarebbe avvenuta proprio nel terreno attorno alla casa degli Abbas, oltre le serre dell’azienda agricola gestita dalla famiglia.
Questa, però, è la versione dei fatti raccolta dalla polizia penitenziaria del carcere di Reggio Emilia e finita nel fascicolo della procura. Si tratta delle rivelazioni che Ikram Ijaz, arrestato il 31 maggio 2021 su un bus in Francia ed estradato in Italia, avrebbe fatto a un compagno di cella un paio di volte. Le confidenze sono state oggetto di indagine da parte dei carabinieri ma non ci sono ancora riscontri né elementi che le possano confermare. E sono ritenute credibili solo in parte. In ogni caso, del cadavere della povera ragazza non c’è traccia dal 30 aprile 2021, giorno della sua sparizione. Le ricerche nelle acque del Grande Fiume, riprese appena è stata acquisita la nuova documentazione testimoniale, non hanno dato finora esito.
Movente del delitto sarebbe il fermo rifiuto di Saman, fidanzata con Saquib, un connazionale che vive a Bologna, di sposare un cugino in Pakistan come volevano i genitori. E a rendere «intollerabile» al padre quel «no» sarebbe stata la foto postata su Instagram di un bacio dato dal ragazzo alla figlia come nel quadro di Hayez. Il processo in Corte d’Assise è fissato per il 10 febbraio e alla sbarra, accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere, si troveranno proprio Danish Hasnain, Ikram Ijaz, Nomanhulaq Nomanhu-laq, Shabbar Abbas e la moglie Nazia Shaheen (latitanti in Pakistan). Agli atti è entrata anche un’intercettazione che riguarda il padre di Saman che due mesi dopo la scomparsa della figlia ha detto al telefono a un suo parente in Italia: «Io sono già morto, l’ho uccisa io, per la mia dignità e il mio onore. Noi l’abbiamo uccisa....». Dichiarazioni contestate però dalla difesa dell’uomo: «Chi ha dato queste informative si è assunto una bella responsabilità – ha detto l’avvocato Simone Servillo –, con una campagna di stampa così massiva mi chiedo con quale serenità la giuria composta da giudici togati e popolari potrà lavorare». E a proposito delle frasi captate dalla conversazione telefonica il legale afferma che «si tratta di vecchi stralci da cui non si può ricavare assolutamente nulla: qualcuno parla addirittura di confessione ma è ridicolo» perché i virgolettati fanno parte di un’informativa che come tale è «parziale» e «riporterebbero traduzioni avvenute in un dialetto pachistano per cui diventa fondamentale il contesto». L’avvocato Servillo parla anche del rischio che il processo si trasformi, se basato su «dichiarazioni rese a mesi di distanza da un detenuto» in una «drammatica farsa».
Sul caso interviene Raza Asif, presidente della Federazione Pachistana in Italia: «Condanniamo l’efferato omicidio che ha molto scosso la nostra comunità. Alla base dell’uccisione di Saman c’è una mentalità retrograda di tutta la sua famiglia che non ha imparato a vivere in una società civile. Auspico pene severe».