Saman Abbas e il padre Shabbar - ANSA
Ergastolo per i genitori di Saman. Responsabilità piena nell’omicidio della ragazza, dunque, per il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheen, latitante a Islamabad. Condannato a quattordici anni lo zio Danish Hasnain, ritenuto colpevole dell’assassinio con le attenuanti generiche e la riduzione di un terzo della pena (ha ottenuto il rito abbreviato). Assolti invece i due cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq per i quali è stata ordinata l’immediata scarcerazione.
I cinque componenti della famiglia di origini pachistane erano alla sbarra con l’accusa di aver ucciso a Novellara, nella Bassa reggiana, la loro congiunta diciottenne e di averne occultato il cadavere. Ma sono cadute, per tutti i condannati, le aggravanti della premeditazione e dei motivi abbietti che erano state contestate nel processo. È rimasta invece quella del legame familiare. La sentenza della corte di Assise di Reggio Emilia è arrivata oggi (martedì 19 dicembre) alle 18.10 dopo quasi cinque ore di camera di consiglio. Per i due cugini della ragazza la richiesta del pm era stata di 26 anni ma, evidentemente, l’impianto accusatorio a loro carico non ha convinto i giudici che li hanno scagionati del tutto, escludendo anche il reato derivante dal nascondimento del corpo della vittima. Per conoscere le ragioni dell’assoluzione bisognerà attendere ora le motivazioni del verdetto, che sicuramente sarà impugnato dai difensori dei tre condannati.
Per mezzora, stamattina, dal banco degli imputati, Shabbar Abbas, in un italiano stentato ma “essenziale”, aveva negato ostinatamente di aver ucciso la figlia. Un tentativo disperato. «Mai nella vita l’ho pensato... una madre e un padre mai ammazzano i figli» ha detto rivolto ai giudici. Poi, prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio, l’uomo si è messo a piangere e ha ripreso a parlare stavolta per un’ora intera dicendo di non sapere chi l’ha strangolata. Dichiarazioni spontanee nelle quali l’uomo ha cercato di smontare, senza riuscirci, le solide tesi dell’accusa. «Saman disse sì al matrimonio con il cugino – ha affermato Shabbar – che non era un matrimonio combinato, in famiglia eravamo contenti perché era un bravo ragazzo». «Ho sentito tante cose false su di me – ha detto in aula Shabbar, arrestato in Pakistan dopo un lungo periodo di latitanza e poi estradato in Italia – ma io non sono una persona ricca e neppure un mafioso, non ho ammazzato nessuno, né qui, né in Pakistan».
Si conclude così il primo capitolo della vicenda giudiziaria che era cominciata il 10 febbraio scorso con il processo per la morte della 18enne pachistana che si sarebbe ribellata a un matrimonio combinato.