La strada si fa sempre più in salita per la formazione del nuovo governo. «Stiamo lavorando», dice con ottimismo il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, ha risposto - lasciando la sua abitazione a Roma per recarsi alla Camera - ai giornalisti che gli chiedevano quando avrebbe sciolto la riserva. E nel pomeriggio comunica dal suo profilo Facebook che ha ricevuto una telefonata dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron, «che il quale ha formulato i suoi migliori auspici per il
Governo che stiamo formando in Italia». Ma il problema sembra essere sempre il nome per il ministero di via XX Settembre, visti i veti arrivati su Paolo Savona. Intanto la stampa tedesca si occupa oggi con toni allarmati di lui, l'uomo «che odia la Germania», al centro di tensioni sulla possibilità di una sua designazione come ministro dell'economia. «L'Italia vuole un nemico della Germania al governo», scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Bild invece paragona Savona a Yanis Varoufakis, «che nel 2015 portò l'eurocrisi ai massimi livelli innervosendo tutta Europa».
Dopo aver manifestato tutta la sua arrabbiatura in un post pubblicato su Fb ieri sera (e che ha incassato il like di Di Maio), oggi Matteo Salvini torna alla carica e rivendica la possibilità di scegliere liberamente il capo del dicastero di Via XX settembre: «Giornali e politici tedeschi insultano: italiani mendicanti, fannulloni, evasori fiscali, scrocconi e ingrati. E noi dovremmo scegliere un ministro dell'Economia che vada bene a loro? No, grazie! #primagliitaliani», scrive sul social network.
Il punto sulla formazione del governo
Luigi Di Maio tra due fuochi. Da una parte il Quirinale, col quale il capo politico grillino intende mantenere buone relazioni istituzionali senza forzare troppo la mano, e dall'altra Matteo Salvini, partner di governo, che il leader M5S (di concerto con il presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte) intende appoggiare nella scelta di Paolo Savona come ministro dell'Economia, nonostante le forti perplessità avanzate dal Colle sul suo nome. Ma quello relativo al ministero dell'Economia non sarebbe il solo nodo sul tavolo. Secondo fonti del centrodestra anche le caselle Esteri, Giustizia e Difesa sarebbero ancora un rebus nell'ambito della partita con il Quirinale.
Intanto la Lega non intende retrocedere di un millimetro su Savona e incassa il sostegno della leader di Fdi Giorgia Meloni, che attacca il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Su Paolo Savona - rimarca la parlamentare in una nota - una nuova inaccettabile ingerenza di Mattarella, dopo l'ostinazione a non conferire l'incarico di governo al centrodestra. Ho comunicato a Salvini che Fratelli d'Italia, pur senza aver cambiato idea sul governo giallo-verde, offre il suo convinto aiuto per rivendicare il diritto di un governo a scegliere un ministro dell'Economia non indicato da Bruxelles». Sulla stessa lunghezza d'onda il grillino Alessandro Di Battista: «il presidente della Repubblica ha tutto il diritto costituzionale di voler concordare alcuni ministri con il presidente del Consiglio incaricato, ma porre veti sul Ministro dell'economia, malgrado il curriculum eccellente che vanta il dottor Savona, lo trovo, da cittadino, assolutamente inaccettabile».
Di inaccettabilità, ma delle parole di Salvini, parla invece il reggente del Pd Maurizio Martina. «In queste ore assistiamo da parte di Lega, Cinque Stelle e Fratelli d'Italia - dice - ad attacchi gravi e sconsiderati verso le prerogative della Presidenza della Repubblica. La pressione senza precedenti che vogliono alimentare è inaccettabile. Salvini si vergogni; continua a giocare la sua propaganda sulla pelle degli italiani. Attacca altri Paesi, ma in realtà sta attaccando la Costituzione su cui vorrebbe giurare tra qualche giorno come ministro. Ha preso il 17% dei voti e crede di essere il padrone del Paese oltre le sue regole democratiche».
Altra partita cruciale quella della delega su telecomunicazioni oggetto di frenetiche trattative in questi giorni e che, stando agli ultimi boatos, dovrebbe rimanere in capo ai 5 Stelle, a cui spetterebbe il Mise e il Lavoro (dicasteri fortemente voluti da Di Maio).