giovedì 3 ottobre 2024
Ogni anno in Italia un milione di errori medici e 7 mila morti. Don Angelelli (Ufficio Cei Pastorale sanitaria) sul tema contenziosi al congresso sulla responsabilità sanitaria di Aris e Camilliani
Il convegno Aris

Il convegno Aris - Giovanni Cioffi, The Skill - comunicazione Aris

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In Italia, ogni anno, su 10 milioni di ricoveri ospedalieri, un milione di pazienti rimane vittima di un errore sanitario (medical malpractice). Di questi, circa sei o sette mila muoiono per cause direttamente connesse al trattamento sanitario ricevuto. Le infezioni nosocomiali (od “ospedaliere”) – tecnicamente dette Infezioni correlate all’assistenza (I.C.A.) sanitaria – rappresentano uno fra i principali problemi dei sistemi di salute pubblica e sono determinate da un eterogeneo insieme di condizioni differenti sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed epidemiologico.

Tenendo presenti le gravi e diverse conseguenze sia per i pazienti che per gli stessi operatori sanitari, Aris Nazionale, in collaborazione con Aris Lazio e con la Provincia Romana dei Camilliani, ha riunito a Roma esperti, medici, giuristi, legali ed assicuratori per un confronto sula responsabilità giudiziaria legata alla tutela della salute. Obiettivo della Giornata di studio era cercare di capire come difendere i pazienti, ma anche i sanitari da denunce spesso immotivate.

Il numero dei contenziosi in ambito sanitario è in continua crescita, con circa 30 mila casi ogni anno. A fine 2022 sono stati registrati 3 milioni 829mila casi pendenti nei tribunali. Stando ai dati del 2019, le denunce sono principalmente al Sud (44,5%), al Nord il 32,2 %, al Centro il 23,2 %. Dati che non fanno vivere ai medici un sereno esercizio della professione: il 78,2 % ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti rispetto al passato, il 68,9 % pensa di avere tre probabilità su dieci di subirne; il 65,4 % avverte una pressione indebita nella pratica quotidiana.

Secondo il Med Mal Report Marsch (edizione 2021) sui numeri e i costi della responsabilità professionale medica, le pratiche relative a errori chirurgici e diagnostici costituiscono una quota rilevante di richieste di risarcimento che pervengono alle aziende sanitarie, con il 42% di incidenza sul totale dei sinistri assicurativi denunciati.

In Europa le I.C.A. provocano ogni anno 37 mila decessi direttamente attribuibili e 110 mila decessi per i quali l’infezione è una concausa. In Italia ogni 100 pazienti ricoverati, circa 6,3 contraggono una I.C.A. durante la degenza in ospedale. Su oltre 10 milioni di ricoveri annuali, si verificano oltre 600 mila I.C.A. Almeno l’1% di questi pazienti andrà incontro al decesso per cause direttamente riconducibili all’infezione Non meno di 6 mila pazienti, dunque, che muoiono in un anno. Eppure si stima che una quota superiore al 50% delle I.C.A. sarebbe evitabile, con una corretta adesione alle linee guida di prevenzione.

«Se vogliamo mettere un freno alle aggressioni ai sanitari è necessario ricostruire quel rapporto di fiducia tra cittadino e servizio sanitario, che si è andato sgretolando nel tempo», è stato quindi l’appello che don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale per la Salute, ha lanciato. Lucida e pragmatica l’analisi di don Angelelli: «Una mancanza di fiducia non solo genera malcontento e a volte assurde pretese e voglia di rivalsa da parte del cittadino, ma anche - ha detto - lo smisurato aumento del ricorso alla cosiddetta e nota medicina difensiva che comporta per lo Stato una spesa stimata intorno ai 9 miliardi di euro».
L’esortazione del direttore è quindi per una «de-escalation della pericolosa tensione che si è creata tra l’esasperazione del paziente e l’impossibilità miracolistica del medico». Per il responsabile dell'Ufficio Cei «con ogni probabilità queste dinamiche violente sono alimentate anche dallo squilibrio che si è venuto a creare dal momento in cui l’atto medico è scivolato nel penale, e ha creato quella frattura nel rapporto medico-paziente, oggi difficile da risanare». Dunque, è in questo clima di sfiducia dei cittadini nel sistema che «nascono molto probabilmente i conflitti nei Pronto Soccorso e gli schiaffi che volano contro medici ed infermieri. Eppure per quanto strano possa sembrare il nostro SSN funziona, offre assistenza di qualità, è uno dei migliori in Europa, forse nel mondo. Ma sembra che tutto vada male e cresce la sfiducia della gente».

Per don Angelelli allora è necessario «rimettere mano al concetto di relazione tra paziente e medico, tra paziente e sistema sanitario. Continuiamo a parlare di prestazioni, a ragionare in termini quantitativi piuttosto che qualitativi. Per esperienza posso assicurarvi che le buone relazioni tra medico, paziente e parenti del paziente sminuiscono il ricorso al contenzioso. C’è una bella differenza - ha detto - tra il vedersi curati e il sentirsi curati». Da qui la proposta di «riflettere sulla possibilità di rivedere il sistema di penalizzazione dell’atto medico, perché non è possibile che la morte di un paziente sia attribuita tout court al medico che lo ha curato o alla struttura che lo ha accolto». Uno stato delle cose «inaccettabile per i sanitari così come per le assicurazioni costrette a rimborsi astronomici e dunque di conseguenza costrette a chiedere premi insostenibili per tanti medici e tante strutture».

Nel suo indirizzo di saluto poi padre Virginio Bebber, presidente Nazionale dell’ARIS, riprendendo le parole di don Angelelli ha sottolineato come nelle strutture socio-sanitarie associate all’ARIS «si pone una grande attenzione proprio all’istaurazione di un ottimo rapporto relazionale tra paziente e personale sanitario». Una sensibilità socio-curativa messa in pratica «per far sì che il malato si senta non solo curato, ma possa contare su qualcuno che si prende cura di lui. Come diceva san Camillo ai sui discepoli “il malato è il nostro padrone”».

Infine Michele Bellomo, presidente di ARIS Lazio, si è soffermato sulle difficoltà che deve affrontare quotidianamente chi gestisce una struttura sanitaria: «In questi tempi difficili, oltre a circondarsi di personale sanitario deve aggiungere avvocati e assicuratori». E poi far tornare i conti di queste pesanti voci di spesa non medica. Ciononostante, ha concluso Bellomo, «nelle nostre strutture sanitarie, tutte di matrice religiosa, resta fondamentale il benessere del paziente così come la tutela dei nostri collaboratori. Facciamo tanti sacrifici, ma andiamo avanti. Facciamo anche tanta fatica a farci riconoscere i nostri sforzi. E pensare che nelle nostre strutture convenzionate e non profit, allo Stato le nostre prestazioni per paziente costano circa il 40% di meno che nelle strutture pubbliche».


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