«Il parere tecnico-scientifico è stato dato, ma questo non vuol dire che avremo presto la pillola Ru486 negli ospedali, perché ci sono tutta una serie di punti da definire». Riguardano un farmaco di "appoggio" al mifepristone – il principio attivo della pillola per l’aborto farmacologico –, le procedure di somministrazione e il consenso informato. Nel caso, poi, saranno necessarie linee guida «condivise con le Regioni», visto che «c’è un sostanziale problema di compatibilità con la legge 194». È tutt’altro che remissiva Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, nel commentare la possibile evoluzione della procedura di introduzione della sostanza abortiva nel nostro Paese, che nei prossimi giorni tornerà sul tavolo dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco.
Cosa ci si può aspettare ora?La valutazione tecnico-scientifica, data dal comitato dell’Aifa, è chiusa. E lo è da prima che noi arrivassimo. Personalmente, però, ho molti dubbi. L’Aifa ha sì tenuto conto di un dossier preparato da me e da Assuntina Morresi proprio su
Avvenire, l’unico che documentava sedici morti. Ma il bollettino Aifa ne ha considerate solo nove, dunque sette morti non erano segnalate da autorità sanitarie, ma da un’inchiesta giornalistica. Forse ciò non è stato valutato a sufficienza e rende difficile fare un serio bilancio costi-benefici.
Cosa avete intenzione di fare?Vediamo se si può aprire una questione su queste morti a livello di Emea (l’ente europeo del farmaco
ndr). Perché l’Aifa ha dato parere positivo recependo quello europeo. Stiamo valutando come intervenire.
Qual è il pericolo della Ru486?Riporta l’aborto a domicilio in una forma di clandestinità legale. C’è, dunque, un sostanziale problema di compatibilità con la legge 194, che invece dice che l’aborto deve essere nelle strutture pubbliche. Non parliamo, poi, della prevenzione. Va bene che la prima parte della legge non è mai stata pienamente applicata. Ma l’introduzione della Ru486 la rende certo più difficile. In realtà l’aborto diviene un problema privato, mentre è sociale.
Cosa si può fare per tutelare la salute femminile nelle strutture ospedaliere, tramite le Regioni?Se la Ru486 passa definitivamente, serviranno linee guida, un percorso che va condiviso con le Regioni. Sottolineo se, perché manca ancora la seconda parte della procedura, quella amministrativa. Esiste, infatti, una serie di problemi da risolvere. Quello del secondo farmaco, quello del consenso informato, infine la modalità di somministrazione. Non è detto, dunque, che quest’ultimo passaggio avverrà in tempi brevi.
Qual è il problema del secondo farmaco, il misoprostol, che è un antiulcera?La stessa casa produttrice lo ha sconsigliato per uso abortivo in tutto il mondo. Non si può fare un protocollo con un farmaco, cosiddetto
off-label. Per quanto riguarda la somministrazione, in Francia alle donne viene dato un questionario. Non devono abitare a più di un’ora da un ospedale attrezzato per le trasfusioni, non devono avere figli piccoli, devono avere un buona situazione affettiva e comprendere bene la lingua. Insomma devono soddisfare determinati requisiti sia logistici, sia psico-sociali. Il Consiglio superiore di Sanità, poi, in due pareri ha detto che il rischio della pillola abortiva è pari a quello di altri metodi, solo se si competa in ospedale. Invece, sia nella sperimentazione di Viale, sia nelle singole Asl dove è stata usata tramite importazione diretta, la stragrande maggioranza delle donne è tornata a casa. E in Francia il 20% non è tornata alla visita di controllo.
Da un punto di vista culturale c’è chi parla di "banalizzazione". Condivide?Sì. Viene alimentata l’idea falsa che l’aborto diventi una cosa facile, invece è più cruenta. Parlerei di una "doppia truffa" ai danni delle donne. Prima si fa loro pensare che si possa andare di pillola in pillola: una per la contraccezione, una per il giorno dopo, una per abortire. E che in fondo si tratta solo di pillole. Poi le si lascia sole.