sabato 8 agosto 2009
«Utile una nuova indagine conoscitiva» chiede Volontè (Udc) dopo che Pecorelli ha denunciato aborti «in autogrill». Mentre l’oncologo Veronesi insiste: è una metodica meno traumatica. Anche il ginecologo Antinori si schiera contro l’aborto chimico. VAI ALLO SPECIALE »
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Sull’opportunità che una commissione parlamentare indaghi sulle modalità di applicazione della Ru486 nel nostro Pae­se si incentra il dibattito politico nato dopo l’approvazione da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) della pillola abortiva. A fa­re rumore sono le giustificazioni del presi­dente dell’Aifa Sergio Pecorelli che, per spie­gare la decisione dell’Agenzia, fornisce infor­mazioni allarmanti sull’attuale impiego del­la Ru486. E nonostante gli inviti ai parlamen­tari a non occuparsi di «un farmaco», le con­traddizioni delle scelte «tec­niche » sono apparse eviden­ti a diversi osservatori, politi­ci e non. In un’intervista apparsa do­menica sul Corriere della Se­ra il presidente Pecorelli si schiera a fianco del presi­dente della Camera Gian­franco Fini nel ritenere inuti­le una commissione parla­mentare sulla Ru486: serve «solo se si vuole cambiare la legge 194». Pecorelli tende a presentare l’atti­vità dell’Aifa nell’approvazione della Ru486 quasi come quella di un notaio alle prese con un atto dovuto dalla procedura europea e di­segna scenari di grande pericolo che si corre­rebbero attualmente con l’uso poco control­lato della Ru486 da parte degli ospedali che la importano. Su Repubblica è l’oncologo Um­berto Veronesi a definire una «metodica me­no traumatica» per le donne l’adozione della pillola abortiva per interrompere la gravi­danza. Contesta entrambi il deputato udc Lu­ca Volontè: «La cocciuta e palese superficia­lità del presidente dell’Aifa è grave almeno quanto la ignorante malafede di Umberto Ve­ronesi. Sulla “kill pill”, sulla Ru486, c’è colpe­vole disinformazione e semplicioneria ideo­logica ». Una posizione che vede d’accordo il ginecologo Severino Antinori (più noto per la sua attività nella fecondazione assistita): «Il presidente dell’Aifa, Sergio Pecorelli, si con­traddice. Prima parla di farmaco sicuro e poi di percorso tortuoso, psicologicamente diffi­cile da sopportare. Non ha specificato le con­seguenze, dovrebbe dimettersi». Quanto a Ve­ronesi «prende una cantonata», commenta Antinori: con la pillola abortiva ci sono «più dolore, più infezioni, più sofferenza psicolo­gica, più infertilità e aumento della morta­lità ». «In Francia e in altri Paesi avanzati – con­clude – rispetto all’introduzione si è registra­to un calo nell’assunzione del farmaco, chia­ro segno che la pillola non è poco traumati­ca ». Insiste Luca Volontè: «Un’indagine conosciti­va è già stata fatta alla Camera la scorsa legi­slatura. Nulla impedisce al Senato di attivare un’altra indagine conoscitiva, utile visti i nuo­vi casi di morte». E si potrebbe aggiungere u­tile viste le parole del presidente dell’Aifa, che ha denunciato aborti con la Ru486 avvenuti «in un auto­grill » o comunque «lontano dal presidio ospedaliero», in­dicando nella «importazione parallela, un fenomeno in co­stante lievitazione». Un dato che sembra in contrasto con quanto emerso dall’ultima Relazione al Parlamento sul­l’attuazione della 194, e che richiederebbe quindi ade­guata documentazione da parte dell’Aifa o delle Regioni. Infatti la Rela­zione ministeriale rileva che se nel 2005 era­no state solo 132 le interruzioni di gravidan­za con la Ru486 (erano iniziate la sperimen­tazione al S. Anna di Torino e l’importazione diretta a Pontedera), nel 2006 sono state 1.151, scese poi nel 2007 a 1.010. Così come curioso sembra che il presidente Pecorelli paventi – in caso di mancata approvazione dell’Aifa – il ri­corso all’arbitrato europeo da parte della Exelgyn, dando per scontato che l’Italia do­vesse soccombere: in realtà le autorità dei sin­goli Stati, in caso di procedure per mutuo ri­conoscimento (come è il caso della Ru486, in­trodotta a partire dalla Francia), hanno una li­bertà di manovra di adattare l’autorizzazione al diritto nazionale o negarla, che è invece as­sente nel caso in cui il farmaco sia stato ap­provato con la procedura centralizzata pres­so l’Emea (l’ente europeo sui farmaci). Caso mai, come ha rilevato domenica sul Sole-24 O­re il sottosegretario Eugenia Roccella, ora è la legge italiana che rischia di essere svuotata dalla pratica dell’aborto farmacologico, come accaduto in Francia, dove «si è cambiata la legge adeguandola alla nuova prassi».
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