D’altra parte, le previsioni di mercato dell’azienda parlano chiaro. Solo in Lombardia in un anno sono state vendute 338 scatole, ben al di sotto degli obiettivi che si era posta la Nordic, che ipotizzava di superare la soglia delle 5mila confezioni. «Sulla bassa diffusione del farmaco incidono più fattori – spiega con lucidità Durini –: da un lato il protocollo ospedaliero non sempre rispettabile e ben più lungo di quello per l’aborto chirurgico; dall’altro il limite temporale delle sette settimane entro cui assumere il farmaco, e nel quale è difficile rientrare». Capitolo a parte, la concorrenza delle pillole che si smerciano su Internet: oltre a essere un reato, questo tipo di commercio «costituisce un grave pericolo per la salute, perché non se ne conosce la provenienza e l’efficacia». Zero scatole vendute in Basilicata e Marche, sei in Umbria (alle prese con un faticoso iter per la definizione dei protocolli ospedalieri, con polemiche a non finire in Consiglio regionale), una sessantina in Molise, Calabria e Valle d’Aosta. Si confermano invece grandi clienti le Regioni che già avevano attivato la sperimentazione. La conferma arriva dal Piemonte, patria del ginecologo ed esponente radicale Silvio Viale, pioniere dell’aborto farmacologico con la sperimentazione partita all’ospedale Sant’Anna di Torino nel 2005. Ancora una volta il Piemonte è il primo della lista, con ben 1.792 confezioni vendute da gennaio a questa parte. Discorso a parte per l’Emilia Romagna, con le sue 435 confezioni ordinate. Qui occorre fare un distinguo perché in Emilia vige un protocollo particolare, per cui l’aborto si pratica con una sola pillola (per cui in realtà, visto che ogni scatola ne contiene altre due, il totale andrebbe moltiplicato per tre).
La diffusione a macchia di leopardo dipende anche dal rispetto o meno delle linee guida ministeriali, che impongono il ricovero ordinario per i tre giorni durante i quali si dovrebbe completare l’aborto (ma sono numerosi i casi in cui la procedura è assai più lunga): di fatto dove si usa molto la pillola vige il regime di day hospital, come in Emilia Romagna, oppure si usa il trucchetto delle dimissioni volontarie. Alla domanda se la pillola dei cinque giorni dopo (EllaOne, ormai prossima all’arrivo nelle farmacie e potenzialmente abortiva) potrà costituire una concorrente per la Ru 486, Durini replica che «sì, forse in minima parte potrà sottrarci qualche cliente, ma solo le più avvedute, visto che occorre entro breve tempo effettuare gli esami e farsi fare una ricetta». Sul campo c’è chi fa notare che lo scarso uso della pillola non dipende solo dal tipo di ricovero scelto. «Usiamo la Ru molto di rado perché non abbiamo richieste in tal senso né dalle donne né dai nostri ginecologi», afferma Basilio Tiso, direttore sanitario della Clinica Mangiagalli di Milano, dove ogni anno nascono 6.700 bambini e si praticano 1.300 aborti. «Evidentemente si sta realizzando quanto avevamo previsto all’introduzione del farmaco in Italia: la procedura è tutt’altro che semplice e i rischi di emorragia, oltre che il tempo prolungato per portare a termine l’aborto, non invogliano le donne». In quanto al protocollo dei tre giorni, «non abbiamo problemi a farlo rispettare».