La notizia era trapelata alla fine di giugno: un dossier dettagliato sulla pillola abortiva era stato inviato al ministero della Salute dall'azienda produttrice della Ru486, la francese Exelgyn, e da questo «girato» per competenza all'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per una valutazione tecnico-scientifica. E da quanto era stato rivelato da alcune agenzie di stampa, nel dossier per la prima volta si ammettevano 29 morti dall'uso della pillola abortiva, anche se non in tutti i casi l'utilizzo del farmaco era finalizzato all'interruzione di gravidanza, ma anche per un «uso compassionevole». Il che apre ancora più ampi dubbi sulla decisione del cda dell'Aifa. Infatti la massima trasparenza nella valutazione dei dati era stata invocata dal sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, per rispondere con criteri di oggettività scientifica ai dubbi che la pillola abortiva continua a sollevare. Ma evidentemente questo, alla fine, non è stato fatto.Dell'azione della Ru486, Avvenire è stato tra i più assidui a parlare per pretendere che le notizie sulle morti e sugli eventi indesiderati fossero resi noti e analizzati per una valutazione il più possibile obiettiva del farmaco. Soprattutto dopo che un editoriale del «New England Journal of Medicine» di quattro anni or sono aveva rivelato che, pur nella differenza di numeri assoluti,
la mortalità in seguito all'aborto medico (o chimico) è dieci volte più alta di quella per aborto chirurgico, a dispetto della «favola» che vuole far credere più facile e moderno il ricorso al farmaco per l'interruzione di gravidanza. Il dossier dell'azienda produttrice, pur non ammettendo legami diretti tra l'assunzione della Ru486 e i decessi, comunica che
non sono solo 16 (o 17 come già segnalato da Avvenire nei mesi scorsi) i casi di morte per l'uso del mifepristone, bensì 29 nel periodo compreso tra il 28 dicembre 1988 e il 28 febbraio 2009. Ai quali andrebbero però aggiunti due decessi avvenuti solo dopo l'assunzione del secondo farmaco (il misoprostolo) che però è indispensabile al completamento della procedura abortiva, ma che l'azienda produttrice non ha mai indicato per uso abortivo.
Non solo morti però, emergono tra gli effetti avversi. Il caso più grave – pubblicato su «Obstetrics and Gynecology» – è relativo a una donna alla quale, dopo un aborto chimico con la Ru486, è andata incontro a un'infezione da Streptococco che ha reso necessario amputarle la gamba sotto il ginocchio. Del resto molti dei casi di morte sono stati attribuiti all'azione di un raro batterio (Clostridium Sordelli), che si è presentato in misura straordinariamente frequente dopo l'uso del mifepristone. Va ricordato che, per la sua azione sugli ormoni, il mifepristone è da tempo indicato per la cura del morbo di Cushing, ed è stato anche sperimentato (come testimoniato da pubblicazioni scientifiche) nella terapia antidepressiva. E che il secondo farmaco, il misoprostolo, è un antiulcera: la stessa casa produttrice lo ha sconsigliato per uso abortivo in tutto il mondo e in Italia dovrebbe essere utilizzato «off label».