sabato 26 dicembre 2009
Il caso di una famiglia di nomadi che, grazie ai Padri Somaschi, trova un alloggio e occasioni di riscatto nella vita. Una quotidianità diversa e serena che arriva proprio a Natale, a festeggiare una nuova nascita.
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domattina Esmeralda lascerà l’ospedale e andrà a casa con mamma e papà. L’hanno chiamata come la zigana bellissima del gobbo di Notre Dame. Per la prima volta un bambino della famiglia di Giorgio, patriarca rom, passerà in Italia il Natale in una casa vera. Glie l’hanno data per qualche tempo a Gorgonzola, comune di 18 mila abitanti nell’hinterland milanese, i padri somaschi. È una vecchia villetta lasciata in eredità per l’accoglienza familiare. E la famiglia di Giorgio, 57 anni, fino a nove mesi fa viveva in uno dei campi abusivi di Milano, poi li hanno sgomberati per la quarta volta in tre anni. Hanno resistito perché si sono integrati. Chi pensa che i rom preferiscano le stelle a quattro mura solide e calde, dovrebbe provare a vivere tra topi e immondizia sotto il cavalcavia Bacula, a Milano. E ascoltare la storia complicata di questa famiglia in un soggiorno animato dai bambini. A Stolica, terra ricca di vigneti da dove sono migrati, Giorgio ha ancora una casetta. Ha quattro figli. Oltre a Marian, 23 anni, il papà di Esmeralda che l’ha appena reso nonno, i tre piccoli, di quattro, otto e dieci anni. Sua moglie Frisina è ancora incinta, a marzo gli darà un altro erede. Marian non ha ancora potuto vedere Esmeralda e la sua donna, Stella. Non può permettersi l’auto e la nevicata che ha bloccato la città lunedì e martedì gli ha impedito di andare in ospedale. Passerà stasera, dopo il lavoro. «Dovevo andare in cantiere – si giustifica – mi hanno appena assunto come manovale». Non chiude occhio da due giorni per l’emozione di essere diventato padre per la prima volta a Natale. Lui è cristiano ortodosso e attribuisce agli avvenimenti un significato particolare. Nonostante la povertà, è orgoglioso di dare un’accoglienza degna alla sua primogenita.Marian è stato il primo della famiglia ad arrivare in Italia nel 2003, a 16 anni.«Le cose andavano male in Romania, l’agricoltura era in crisi. Mio padre per 27 anni è stato caposquadra, all’improvviso l’hanno licenziato. Ci siamo indebitati per mangiare con gli usurai. La somma di partenza era 800 euro, ci stavano prendendo la casa con gli interessi. Ero il figlio maggiore, a 14 anni se sei povero non sei più un bambino. Così sono andato a lavorare in campagna in Serbia, poi sono arrivato a Milano dove c’erano dei parenti». Sequenza classica. Marian trova posto nel campo abusivo di Bacula e si mette a chiedere la carità.«Guadagnavo bene. Dormivo nel campo per riuscire a mandare qualcosa a casa, ma volevo qualcosa di dignitoso». Così entra come manovale precario in una cooperativa. Nel 2006 lo raggiungono il padre, la madre e i tre fratellini. Giorgio prova a chiedere l’elemosina, ma non ce la fa. Cerca lavoro, come ha sempre fatto, trova solo occupazioni saltuarie. Al campo, che qualche sociologo pietosamente chiama “non luogo”, si vive in baracche senz’acqua e luce. Il capo famiglia comunque iscrive i due figli alle elementari. Marian li segue, per i rom la famiglia è tuttoNel frattempo il gruppo Segnavia dei padri Somaschi ha scelto di intervenire nel campo di Bacula e li aiuta.«Era pieno di topi – ricorda Giorgio – d’estate mettevamo il materasso fuori dalla baracca e ti camminavano sopra. D’inverno stavamo dentro a scaldarci con il fuoco ad alcol. I vestiti puzzavano di fumo». Nonostante le condizioni igienico sanitarie difficili, Giorgio e Marian vanno a lavorare ogni giorno e i piccoli frequentano regolarmente la scuola. Segnavia li porta a lavarsi nell’oratorio milanese di via Verri prima delle lezioni. D’estate la famiglia si sposta nel 2007 in Puglia e nel 2008 in Spagna per la raccolta di pomodori, arance e olive. Ma le paghe non bastano per sfamarsi.Poi a marzo lo sgombero, l’ennesimo. Dopo un mese e mezzo alla Casa della Carità di don Colmegna, si libera l’appartamento di Gorgonzola. I bambini vanno a scuola, Giorgio trova un’occupazione temporanea in una cascina, Marian è stato assunto. Fino a gennaio resteranno qui, intanto si cerca una casa in affitto in questo paesone accogliente e solidale dove si sono inseriti. «In Italia – conclude Marian – non abbiamo mai nascosto di essere rom, sapevano tutti dove vivevamo. Ci hanno accettato». Questa famiglia ha conosciuto la durezza della strada, la miseria e la disperazione, è passata attraverso lo sgombero dei più famosi campi rom di Milano. Ma non ha mai perso la dignità e ha trovato chi gli ha teso la mano. Nel calore del salotto si misura la distanza tra chi pensa invano di risolvere i problemi gridando slogan e alzando muri attorno ai campi rom e chi invece lavora per l’integrazione. Senza fare miracoli, i problemi restano tanti. Ma qui il Natale ci scruta con gli occhi pieni di speranza di Esmeralda, neonata rom. Chiede il diritto di vivere in una città dove nessuno viene cacciato perché diverso.
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