Processioni ricche. Troppo ricche. Troppo. Offerte alle confraternite che arrivano a decine di migliaia di euro. Consuetudini antiche, d’accordo. Ma difficili da conciliare con il messaggio del Vangelo. Soprattutto perché si tratta di pratiche che alimentano non pochi sospetti su chi offre e gestisce tanto denaro. E oggi, tra le virtù delle comunità ecclesiali, non può mancare la trasparenza assoluta. Che è poi servizio alla verità e al bene. Ecco perché l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, ha deciso di intervenire con coraggio e determinazione. «Dio non ci chiederà conto delle belle processioni che abbiamo organizzato, che pure sono necessarie. Invece ci chiederà conto dei fratelli che non abbiamo amato abbastanza». È bastata questa frase scritta dell’arcivescovo, perché nel capoluogo ionico si scatenassero le polemiche. Il riferimento è alle due processioni del giovedì e venerdì Santo, tra le più antiche d’Italia, in cui i "perdune", uomini dal volto incappucciato, sfilano lentamente per le vie del Borgo e della Città vecchia, accompagnati soltanto dal suono delle marce funebri. In questi riti vengono riproposti la ricerca dolorosa del Figlio da parte di Maria e la Passione di Gesù, utilizzando antiche e grandi statue in cartapesta portate in spalla dai confratelli delle rispettive congregazioni, quella della "Madonna Addolorata" e quella del "Carmine". La questione nasce perché da generazioni, nel pomeriggio della Domenica delle Palme, si tengono le cosiddette "aste" in cui chi offre di più, si aggiudica la possibilità di portare i simulacri più ambiti, arrivando a spendere anche decine di migliaia d’euro. Soldi sul cui utilizzo le confraternite mantengono il riserbo. Si sa che in parte vengono destinati alla beneficenza, ma qualche dubbio rimane. Così da tempo i tarantini si chiedono come questi soldo vengano impiegati. L’arcivescovo Santoro, con determinazione, ha richiamato le confraternite, nel suo messaggio per la Quaresima, a uno spirito evangelico più marcato e ad una sobrietà maggiore. «Vorrei che in questo anno particolare, anche le nostre confraternite, che custodiscono i riti della Settimana Santa in tutta la diocesi, si impegnassero con semplicità e con vero spirito cristiano nel ricercare forme sempre più evangeliche di riproposizione delle nostre tradizioni, allontanando con coraggio tutto ciò che potrebbe offuscare il bello e il vero che celebriamo. Penso, ad esempio, alle prassi consolidate dell’aggiudicazione dei simboli delle processioni, che spesso creano qualche smarrimento sia nei credenti che nei non credenti». Poi la proposta di Santoro di dare inizio «ad una riflessione per cercare insieme nuove forme che potrebbero divenire, gradualmente, segno più chiaro della carità della Chiesa a vantaggio dei poveri. Se è vero come è vero che tanti nel mondo guardano a Taranto durante la Settimana Santa, quale occasione migliore per raccontare una Taranto diversa? Una città che trae dal tesoro della sua fede e della sua tradizione il bene della solidarietà». Come avveniva e talvolta ancora avviene in molti paesi del Sud, certi riti possono nascondere messaggi cifrati, volontà o necessità di far comprendere il proprio peso alla comunità. In passato i riti tarantini erano spesso lavacro di colpe per chi, durante l’anno, viveva nell’immoralità o nell’illegalità. Adesso le cose sono molto cambiate e ci si avvicina alle confraternite solo se motivati nello spirito, ma certe parole smuovono comunque le coscienze. «Mi incoraggia in questo mio desiderio – ha osservato ancora Santoro – l’esempio del Papa, che ha messo in discussione una consuetudine plurisecolare ben più grave delle nostre usanze. Lì, spirito evangelico, intelligenza, libertà e responsabilità hanno prevalso contro qualsiasi prudenza di circostanza».