La «grande opera» della discordia rischia di diventare un caso diplomatico tra Italia e Slovenia. La partita si gioca a Trieste e riguarda il progetto del rigassificatore di Zaule, messo a punto dalla società spagnola Gas Natural, che a luglio ha ottenuto il via libera relativo alla valutazione d’impatto ambientale. Da una parte c’è l’interesse del nostro governo, sostenuto dalle autorità locali, Comune e Regione Friuli-Venezia Giulia su tutti, oltreché dal sistema industriale locale, convinto che l’impianto allo studio nella zona portuale della città giuliana possa accelerare, dopo la recente inaugurazione dell’impianto di Rovigo, il percorso di progressiva indipendenza energetica dell’Italia. Dall’altra c’è Lubiana, sostenuta da una società civile compatta, dai comitati ambientalisti e dalla minoranza slovena triestina, che chiede garanzie per la messa in sicurezza dell’opera, a partire dal suo carattere transfrontaliero e dalle possibili ricadute ambientali nelle acque territoriali di competenza slovena.
Autorizzazioni, «veti» e diplomazia. La diplomazia adesso è in campo e la parola domani passerà ufficialmente ai ministri degli Esteri dei due Paesi, nel vertice bilaterale previsto a Brdo pri Kranju, a 40 chilometri da Lubiana. Nei mesi scorsi, prima il ministero dell’Ambiente sloveno poi il ministero dello Sviluppo economico italiano non hanno nascosto i problemi. Se il titolare dell’Ambiente sloveno, Karl Erjavec, infatti, sottolineava «la mancanza di una valutazione strategica complessiva» sul rigassificatore, minacciando di rivolgersi alla Commissione europea, il ministro Claudio Scajola rispondeva a suo modo, dicendo di aver più volte provato a spiegare «le nostre ragioni a Lubiana. In passato – spiegava – abbiamo scontato veti miopi all’interno, adesso non possiamo permetterci di scontare anche i veti che arrivano dall’esterno». Fonti del governo vicine alla Farnesina confidano inoltre che, «dal punto di vista informativo, abbiamo tenuto informate le autorità slovene passo dopo passo. Ma alla fine la procedura autorizzativa sarà di competenza italiana». L’esatto contrario di quanto vorrebbe la Slovenia, che punta invece a una gestione condivisa del progetto, con regole chiare su come e dove costruire impianti ad alto impatto ambientale.
La bonifica dell’area e il rischio incidenti. Gli obiettivi sin qui sono stati speculari. Per la città di Trieste, infatti, c’è la possibilità, grazie agli investimenti promessi da Gas Natural, di bonificare tutta l’area che sarà poi occupata dal rigassificatore. «È una grande opportunità per noi e per la nostra
multiutility AcegasAps», che potrebbe rientrare nell’operazione in un secondo tempo, spiega il sindaco Roberto Dipiazza. «Ci saranno importanti ricadute di natura occupazionale ed economica» conferma Gas Natural. Tutto bene? No. Gli interrogativi riguardano l’impatto dello scarico in mare di migliaia di metri cubi di acqua raffreddata, a seguito del processo di liquefazione del gas, oltre al posizionamento dell’impianto «in una baia che è un budello», per dirla con le parole degli ambientalisti. L’altro nodo è legato all’arrivo delle navi metaniere nel porto, una ogni tre giorni, che andranno ad aggiungersi alle 400 petroliere che raggiungono il vicino terminale petrolifero. «Cosa accadrebbe in caso di incidente?» si chiede il portavoce di Greenaction Transnational, Roberto Giurastante. Che poi spiega perché «l’opposizione a livello popolare è più forte in Slovenia rispetto all’Italia. È una questione di informazione. Nel nostro Paese ce n’è stata pochissima, mentre a Lubiana non si parla d’altro». Il sindaco di Trieste invece non ha dubbi: «Oggi i livelli di sicurezza sono elevatissimi. Chieda a Tokyo e Barcellona, che hanno costruito rigassificatori recentemente con grande successo. I veti della Slovenia? Pensino alla loro centrale nucleare. Se esplode quella, Trieste fa la fine di Pompei».
Le rassicurazioni degli spagnoli. Finora, peraltro, non siamo ancora entrati nel vivo. Una volta ottenuti tutti i permessi, si potrà procedere alla costruzione del rigassificatore, che durerà circa 40 mesi. «Prima però vogliamo capire perché, nei documenti presentati ufficialmente, i rischi per il nostro ecosistema sono stati minimizzati» attaccano gli ambientalisti. Accusa rispedita al mittente da Gas Natural, che ribadisce di di voler seguire «strettamente ciò che prevede la normativa italiana ed europea in materia ambientale, anche in merito a possibili impatti transfrontalieri». Quanto alla provenienza del gas che verrà trasportato dalle navi metaniere, precisano dal gruppo iberico, «disponiamo di numerose fonti di approvvigionamento, in differenti Paesi».