M5s agitati per la riforma della Giustizia, ma è tregua tra l'ex premier Giuseppe Conte, a sinistra, e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio - Ansa
In commissione Giustizia alla Camera tutto liscio, tranne qualche mal di pancia per i tempi strettissimi e un ostruzionismo nemmeno troppo convinto di Fdi e degli ex 5s ora all’opposizione: via libera quindi al ddl delega di riforma del processo penale così come emendato dal ministro della Giustizia Marta Cartabia e "subemendata" dai relatori Giulia Sarti (M5s) e Franco Vazio (Pd) in base all’accordo raggiunto faticosamente, giovedì, dal governo.
Tempi rispettati per consentire l’approdo in aula domani, domenica, alle 14, con la prospettiva di giungere al sì di Montecitorio martedì, probabilmente con la fiducia. Non sarà il 31 luglio, come scritto nel Pnrr concordato con l’Unione Europea, ma per Mario Draghi aver preservato la compattezza della maggioranza val bene 72 ore di "sforamento", per quanto l’osservanza delle scadenze resti per il premier un principio sacro, ereditato dalla sua precedente vita alla Bce.
La notizia positiva per Draghi è che non solo l’intesa trovata in Consiglio dei ministri sull’improcedibilità, ma anche tutte le altre innovazioni al processo penale volute dalla ministra Cartabia hanno superato il vaglio dei partiti in commissione. Anche gli ortodossi 5s hanno rispettato il patto sottoscritto con Giuseppe Conte: l’ex premier si sarebbe impegnato per modifiche del testo in base alle loro rimostranze più acute, loro però avrebbero mantenuto l’unità del Movimento.
Per il momento lo schema sembra funzionare, anche se in Aula qualche sorpresa, qualche defezione e qualche assenza "tattica" è attesa. Uno schema che è in mano a Conte e a Luigi Di Maio. I due ieri hanno smentito le ricostruzioni che li vedevano, giovedì, più avversari che complici. Anzi, hanno fatto anche sapere di aver cenato insieme giovedì sera per "celebrare" il risultato ottenuto.
Le distanze però ci sono.
Più volte l’altroieri Di Maio ha temuto che Conte arrivasse allo scontro irreparabile con Draghi. E i due non la vedono allo stesso modo sul rapporto tra 5s e governo: per il ministro degli Esteri i "governisti" sono la netta maggioranza, per l’ex premier invece il malessere rispetto all’esecutivo Draghi è sostanzioso. Ricette diverse anche sui modi per interloquire con l’esecutivo: Di Maio preferirebbe non ricorrere a toni "alla Di Battista", Conte è convinto che la lealtà al governo vada insieme a una ripresa di iniziativa politica del Movimento.
Tra i due, in ogni caso, è stata siglata una tregua per affrontare le prossime tappe senza scossoni: il voto sul processo penale, il varo on line dello Statuto 5s e gli incarichi interni al Movimento. Dopo le amministrative si farà di conto tra le varie anime. Temi che potrebbero essere stati affrontati in un colloquio ieri mattina tra Di Maio e Draghi a Palazzo Chigi.
La tregua però non appare solidissima e questo spiega il nuovo ruolo che si è dato la Lega nel governo. «La risolve sempre Draghi», spiega il ministro Giancarlo Giorgetti commentando il Cdm di giovedì. Mentre Matteo Salvini definisce il premier «paracadute» del Paese e si autonomina «difensore delle riforme». È evidente che nel Carroccio si scommette ancora sulla deflagrazione 5s. E Salvini non sembra aver rinunciato del tutto all’idea di presentarsi, a ridosso del voto sul nuovo presidente della Repubblica e in uno scenario politico confuso, come "grande elettore" di Draghi.
In commissione Giustizia la maggioranza è riuscita a far passare anche una decina di emendamenti dei gruppi, tra cui uno di Lucia Annibali (Iv) che prevede l’arresto in flagranza per il marito o ex marito o ex compagno che viola i provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.